Zwerg, Der
(Il nano) Racconto musicale tragico in un atto di G. C. Klaren
Musica di Alexander Zemlinsky 1872-1942
Prima rappresentazione: Colonia, Neues Theater, 29 maggio 1922

Personaggi
Vocalità
ancella (3)
Soprano
Don Estoban
Basso
Donna Clara
Soprano
Ghita
Soprano
il nano
Tenore
Note
Come la precedenteFlorentinische Tragödie, anche quest’opera di Zemlinsky è tratta da Oscar Wilde, seppure con maggiori licenze testuali; la versione librettistica condensa la vicenda intorno al dialogo fra il nano e l’infanta, cassando numerosi episodi marginali in modo da non oltrepassare le proporzioni di un atto unico. Esiste però una redazione molto più recente, che circola tuttora e che mantiene il titolo dell’originale wildiano,Der Geburtstag der Infantin(Il compleanno dell’infanta): si tratta di un ritocco postumo operato essenzialmente sul libretto. Nel 1981 la Staatsoper di Amburgo decise di riprendere questa penultima fatica teatrale di Zemlinsky, precocemente costretta all’oblio dal nazismo; proprio in quest’occasione si interpellò Adolf Dresen per rimaneggiare il libretto in modo da conservare maggiore affinità con il dramma in prosa.

Al levar del sipario fervono i preparativi per il compleanno dell’infanta di Spagna; il dono di maggior valore è rappresentato da un nano orribilmente deforme, ma ignaro di esserlo, con cui la giovane festeggiata finge unflirt, lasciandogli credere di amarlo. Il nano è stato rapito a prima vista dalla bellezza di lei e si apparta tenendo in mano la rosa che ella gli ha donato; passando davanti a uno specchio, inorridisce all’immagine che gli si para dinanzi, che scambia in un primo momento per un ‘doppio’ persecutorio. Compresa la crudele verità il nano si accascia, fulminato dal dolore; l’infanta si sofferma un attimo, imbronciata per la breve durata del suo dono di compleanno, poi muove verso la sala da ballo, invitando a riprendere la festa.

Il soggetto inclina ancora una volta più alla riflessione che all’azione, per quanto la sensibilità teatrale di Zemlinsky (tanto ammirata da Schönberg) riesca a esprimere con efficacia quasi plastica anche una vicenda povera di eventi esteriori, sottolineando con vivo acume psicologico una serie di piccoli gesti che si caricano di riflessi interiori senza per questo scadere nell’enfasi. La materia drammatica è molto affine al grottesco di Victor Hugo, mediato attraverso l’interesse moderno per il burattino sofferente, emblema della fragilità umana esposta all’egoismo derisorio del consorzio civile; il motivo del dolore altrui come pretesto di allegria e quello dell’inconsapevolezza della propria disgrazia, fino allo schianto imprevisto dell’agnizione, possono ricordareL’homme qui rit, trasponendo però ilplotin un clima di cinica frivolezza. La lettura musicale di Zemlinsky riporta alla luce l’angoscia sotterranea, che le chiacchiere di corte dissimulano senza poterla estirpare: come scrisse Alban Berg all’indomani della prova generale viennnese, «l’elemento drammatico (...) è di una tragicità così tormentosa che quasi non lo si può tollerare». Berg si riferiva qui alla prima comparsa in scena del nano, in un subitaneo attonimento generale: il gorgoglio informe e buffonesco dei fagotti su cui filtra il tema struggente del corno inglese, inquadra con precisione bruciante la figura del protagonista e la dicotomia in cui si scindono il suo corpo e il suo animo. Intorno a questo Pierrot deforme folleggia la corte spagnola, che Zemlinsky ritrae con mano maestra: il cicaleccio fatuo delle ancelle si traduce nella trasparente civetteria dei coretti femminili, intrisi quasi sempre di ritmi ballabili. I pizzicati (all’arpa, al mandolino, agli archi) evocano un clima rinascimentale, emulando vielle e violoni; e le danze su cui si apre la festa, affidate ai fiati e venate di echi modali, accentuano questo sapore arcaico e neoclassico. Alla corte viene riservato di solito il lucore di un diatonismo freddo e malizioso, su cui il cromatismo appassionato di Ghita e il pathos del nano non riescono a incidere: i due mondi si giustappongono a tratti, senza trovare conciliazione né dialogo, fino a quando la vocetta atona dell’infanta decreta l’oblio definitivo del suo giocattolo rotto, con un parlato incolore su cui Zemlinsky riprende il ritmo della danza interrotta. Il talento liederistico del compositore trapela, fra l’altro, dal bellissimo, ultimo monologo del nano, che dalla commossa incredulità della speranza scivola nell’orrore dell’inattesa autocoscienza; anche nell’importante scambio di battute con Ghita la voce articola le parole quasi auscultandone le vibrazioni interiori, sopra la base scura dei fiati, a dipanare un profilo informe, presago di sventura e insieme allusivo allo stadio di inconsapevolezza primigenia che caratterizza il nano.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi