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Florentinische Tragödie, Eine
Opera in un atto libretto di Alexander Zemlinsky, dal dramma omonimo di Oscar Wilde
Musica di Alexander Zemlinsky 1872-1942
Prima rappresentazione: Stoccarda, Teatro di corte, 30 gennaio 1917

Personaggi
Vocalità
Bianca
Soprano
Guido Bardi
Tenore
Simone
Baritono
Note
All’epoca in cui compose Eine florentinische Tragödie Zemlinsky era ormai da anni direttore del nuovo Teatro Tedesco di Praga; la dedizione con cui assolveva i suoi compiti artistici e l’impegno che ne derivava toglievano necessariamente spazio all’attività compositiva, condensata quindi in massima parte durante le vacanze estive. Si spiega così la rarefazione che il catalogo di Zemlinsky sembra avvertire in concomitanza con il lungo incarico praghese; non diminuisce però il valore dei frutti prodotti, fra cui, anzi, si annoverano lavori di particolare interesse, come la Lyrische Symphonie o, appunto, Eine florentinische Tragödie. Il testo di quest’opera è fornito dalla trascrizione quasi integrale del dramma omonimo di Oscar Wilde, lasciato incompiuto dallo scrittore quando si abbatté su di lui la folgore del processo intentatogli. Zemlinsky rimase affascinato da questo moncone teatrale e si adoperò a ricucirne i vuoti più evidenti, in modo da potervi innestare un’opera musicale; in seguito Adorno affermò che l’abbozzo wildiano manifesta troppo palesemente la sua inconcludenza e compromette quindi anche il buon esito del lavoro di Zemlinsky, per quanto apprezzabile possa essere la sua musica. In ogni caso la scarsa popolarità ottenuta da Eine florentinische Tragödie appare determinata piuttosto dalla sua brevità, insufficiente a riempire un’intera serata; le lacune del testo, invece, sono suturate molto bene e il compositore riesce a dar voce ai silenzi attraverso la musica, parafrasando in suoni ciò che Wilde non fece in tempo a esplicitare in parole: fra l’altro, anche le numerose didascalie presenti nella partitura sono dovute a Zemlinsky. L’ambientazione nel Rinascimento fiorentino continua la tradizione inaugurata da de Musset con Lorenzaccio e recepita in campo operistico proprio all’inizio del XX secolo: Mona Lisa di Schillings, Violanta di Korngold, Palestrina di Pfitzner, come poco più avanti Massimilla Doni di Othmar Schoeck, sono drammi a tinte fosche, accomunati dallo sfondo italo-rinascimentale e da un’imprevedibile accavallarsi di passioni e violenze che non sembrano affatto meglio connesse di quanto avvenga nella Florentinische Tragödie.

Simone, ricco mercante fiorentino, ritorna a casa e trova la moglie Bianca sola con un giovane nobile, Guido Bardi, rampollo unigenito del principe di Firenze. Simone tenta di eludere la scabrosità della situazione sciorinando la logorrea tipica degli affaristi e, facendo mostra di credere che Guido si trovi in casa sua per motivi di affari, gli propone l’acquisto di alcune merci particolarmente preziose. Di fronte alla spavalda insolenza con cui il rivale gli replica, Simone, pur conservando un contegno impenetrabile, sente ribollire il sangue e incomincia a lasciar cadere una serie di allusioni sinistre. Quando Guido, dopo aver baciato Bianca, manifesta l’intenzione di congedarsi, Simone lo costringe a duellare con lui e, avuta la meglio, lo strangola; ma quando si volta verso la moglie infedele, deciso a uccidere anche lei, avviene un inaspettato rovesciamento di sentimenti: fissandosi negli occhi i due cadono l’una nelle braccia dell’altro, chiedendosi in eco: «Perché non mi hai mai detto che eri così forte?» – «Perché non mi hai mai detto che eri così bella?».

Contrazione della vicenda a un atto unico e riduzione dei personaggi a una rosa ristrettissima erano elementi peculiari del dramma espressionistico: eppure Eine florentinische Tragödie non può essere definita solo come lavoro espressionistico. La poetica estetizzante del beau geste riconduce infatti anche a un clima decadente, intriso di raffinatezza Jugendstil: la sconfitta del dandy da parte del mercante testimonia il prevalere della forza sulla bellezza, ma suggella anche la crisi definitiva dei Des Esseintes e degli Sperelli. Il sapore liberty che pervade l’opera è confermato dall’assenza di ferinità nella lotta silenziosa che i due avversari conducono per la stessa donna: Simone parla di tessuti e di pietre preziose e l’orchestra attutisce l’agitazione del suo battito cardiaco sotto il delicato orpello di arpe, xilofoni, Glockenspiel, mandolino, triangolo. La pièce di Wilde si configurava come tragedia della procrastinatio, tutta intessuta cioè sul continuo differimento del climax conclusivo: Zemlinsky ottiene musicalmente un effetto analogo imbrigliando l’orchestra e lasciandola sfogare in un crescendo risolutivo solo negli ultimi minuti dell’azione. Le sonorità di Zemlinsky sono un continuo ricamo che sottilmente si insinua nel testo: questa partitura calibrata sui particolari, su cellule seminascoste come perle nell’ostrica non risalta forse pienamente in una rappresentazione teatrale, ma nasce dalla precisa volontà di tradurre in forma artistica adeguata l’eleganza minuta del verso di Wilde, già necessariamente illanguidito dalla traduzione tedesca in prosa. Il preludio iniziale non assolve solo una funzione introduttiva, ma sostituisce la scena d’amore fra Guido e Bianca, ovviando in parte all’incompiutezza del lavoro wildiano; un precedente analogo si riscontra nel Rosenkavalier e a questo proposito va notato come l’empito cavalleresco che accompagna le sortite del nobile Bardi non sia troppo lontano dai profili straussiani di Oktavian e Don Juan. La vocalità trascorre dal declamato fluente della loquela di Simone al parlato roco su cui si consuma il duello, per riemergere alla melodia spiegata con lo splendido coup de foudre finale, in cui l’amore nasce dalla morte e ogni potenziale trionfalismo viene annullato nella piega dolorosa degli ultimi sussulti cromatici. Il cromatismo pervade l’intera opera senza mai sconfinare in forzature artificiose, perché si sovrappone con grazia perfetta agli addentellati del testo; gli stessi temi, che nel preludio risuonano gonfi di passione, ritornano trasfigurati nel corso della vicenda e le loro metamorfosi sembrano essere il termometro interiore del dramma dei protagonisti. In questo modo si salvaguarda l’unità e insieme la varietà della forma; anche i particolari più espressionistici del testo (ad esempio il presagio del vino versato, come macchia di sangue pronta a dilagare) vengono raccolti in questa rete analitica e addensati in ombre sempre più gravide di minaccia. La leggerezza di certi pizzicati, l’inopinata soavità delle numerose emersioni solistiche delle prime parti orchestrali, gli arabeschi intessuti dall’arpa testimoniano l’originalità della strumentazione di Zemlinsky e si attagliano molto bene all’atmosfera di gioco pericoloso che domina questa insolita conversazione a tre; il preziosismo delle sonorità individua anche con notevole intuito il clima claustrofobico della vicenda, svolta interamente fra quattro mura, in un hortus conclusus che non sa aprirsi verso il mondo (Simone stesso commenta fra sé: «Il mondo intero si è dunque ristretto a questa stanza e ha solo tre anime come abitanti?»). Il respiro melodico, sempre latente eppure sempre trattenuto (come la notte fiorentina, che occhieggia dalla vetrata senza poter spezzare l’incubo della clausura che grava sui tre) si sfoga finalmente nello squarcio lirico del duetto di Bianca e Guido: musica appassionata e febbrile come quella di certe pagine di Berg, che infatti amava molto l’anima espressiva di Zemlinsky. Se il tema sottinteso al dramma di Wilde era quello della bellezza sopraffatta e illanguidita dalla mediocrità quotidiana, la riscrittura operistica di Zemlinsky si svolge come un ininterrotto peana alla bellezza; la scrittura strumentale, precisa e nitida come un fregio di Klimt, e la forma, serrata ed elegante, diventano pendant di un estetismo ormai sconfitto e pronto a mutare la sua tragedia nelle allucinazioni espressionistiche. Proprio il carattere ambiguo dell’abbozzo di Wilde si prestava al trapasso fra questi due mondi spirituali, di cui la Florentinische Tragödie offre una sintesi personalissima.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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