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Affare Makropulos, L’
[Vec Makropulos] Opera in tre atti proprio, dalla commedia omonima di Karel Capek
Musica di Leoš Janácek 1854-1928
Prima rappresentazione: Brno, Teatro Nazionale, 18 dicembre 1926

Personaggi
Vocalità
Albert Gregor
Tenore
Emilia Marty, alias Elina Makropulos
Soprano
il conte Hauk-S?endorf
Tenore
Janek
Tenore
Jaroslav Prus
Baritono
Kolenaty
Basso
Krista
Soprano
Polizecka
Soprano
un elettricista
Baritono
una cameriera
Soprano
Vítek
Tenore
Note
Non a caso una delle prime traduzioni inglesi della commedia di Capek si intitolavaThe Makropulos Secret: e anche l’opera di Janácek ruota attorno alla ricerca di una segreta formula alchimistica che permette di preparare una pozione capace di garantire trecento anni di longevità. Emilia Marty, cantante dell’Opera di Vienna, già una volta ha potuto avvalersi degli effetti della pozione: nel 1922, all’epoca di svolgimento della vicenda, ha 337 anni, nel corso dei quali ha assunto via via pseudonimi come Eugenia Montez, Ekaterina Myshkin e Elian McGregor, senza che alcun segno esteriore abbia tradito la fioritura della sua perpetua giovinezza. Il primo e vero nome di Emilia, tre secoli prima, è stato Elina Makropulos: quello della figlia del fisico e alchimista Hieronymus, vissuto verso la fine del XVI secolo presso la corte praghese di Rodolfo II, il sovrano asburgico protettore delle arti che per ultimo vi ebbe la sua capitale prima che questa venisse trasferita a Vienna. Nell’antefatto storico che Emilia Marty svelerà solo nel terzo atto dell’opera, Rodolfo incarica Hieronymus di preparare una pozione che gli assicuri altri trecento anni di vita, ordinandogli di provarla su sua figlia Elina. Costei cade in uno stato di incoscienza e Hieronymus è imprigionato per frode. Ma dopo una settimana Elina si ristabilisce, all’insaputa di tutti fugge con la formula della pozione e inizia la sua vita girovaga. Viaggia per il mondo, e la lunghezza della sua esistenza le permette di perfezionare senza limiti la sua tecnica, facendone una delle maggiori cantanti d’ogni epoca. D’altro lato la sua vita non più commisurata a quelle altrui le ha fatto patire più di una morte interiore. Inoltre, anche a causa dei cambiamenti di identità necessari al nascondimento della sua abnorme longevità, Elina è incapace di amare: la scelta della bellezza senza fine l’ha costretta ad abbandonare innumerevoli figli, mariti e amanti. Alcuni anni prima del 1922, Emilia-Elina torna infine a Praga, dove ha notizia di una famosa controversia legale in corso da quasi un secolo. Albert Gregor reclama il ricchissimo patrimonio che il suo avo Ferdinand avrebbe ereditato nel 1827 alla morte del barone Joseph Ferdinand Prus, mentre la famiglia Prus ha continuato, con successo, a respingere la richiesta. Elina, che è stata tra le altre Elian McGregor, madre di Ferdinand Gregor nonché amante del barone Prus, può quindi fornire a Gregor e a Kolenatý, il suo avvocato, l’informazione e i documenti decisivi per la vittoria nella causa: Ferdinand Gregor è il figlio illegittimo di Joseph Ferdinand Prus e di Elian McGregor. Un testamento a suo favore, precisa Emilia, è conservato nell’archivio della casa dell’avversario di Gregor, il barone Jaroslav Prus. Ma a Emilia Marty preme non la vittoria di Gregor nella causa, bensì la formula della pozione, rimasta tra i documenti di casa Prus, che ella aveva a suo tempo donato al suo amante Joseph Ferdinand: Emilia è tornata a Praga solo per rientrarne in possesso e assicurarsi così altri trecento anni di vita e di giovinezza.

Atto primo.Nello studio legale di Kolenatý, che provvede a un’esposizione dettagliata del caso; Emilia sopraggiunge fornendo le sue preziose notizie. Mentre Kolenatý si reca a prelevare il testamento a casa di Prus, il fascino di Emilia ha occasione di esercitarsi anche su Gregor. Questi se ne innamora perdutamente, ma viene respinto con glaciale e annoiata indifferenza. Avendo Gregor ai suoi piedi, Emilia ne approfitta per domandargli del documento che reca la formula della pozione, ma apprende da Kolenatý, di ritorno da casa Prus, che questo è rimasto in possesso del barone.

Atto secondo.Dietro le quinte dell’Opera, la mattina successiva a una rappresentazione che l’ha avuta per protagonista, Emilia continua a trattare con crudele durezza pretendenti e ammiratori. A Gregor, a Krista e Vítek si aggiungono Janek, il figlio di Jaroslav Prus, e il vecchio e ormai demente conte Hauk-Sendorf. In Emilia egli ha riconosciuto Eugenia Montez, la gitana di cui si era invaghito cinquant’anni prima in Andalusia. A Emilia si presenta quindi Jaroslav Prus; insospettito dalle inesplicabili conoscenze di Emilia sulla sua famiglia e dal suo immotivato interesse alla causa di Gregor, mette la cantante alle strette. Emilia induce il giovane Janek a tentare di sottrarre il documento per lei. Al tempo stesso tenta di comperare il documento da Prus, che acconsente a cederglielo in cambio di una notte d’amore.

Atto terzo.Nella stanza d’albergo ove Emilia e Prus hanno trascorso insieme la notte. Arriva la tragica notizia del suicidio d’amore di Janek. Di fronte al dolore di Prus, Emilia reagisce con assoluta indifferenza, restandosene seduta a pettinarsi i capelli. Prus fa appena in tempo a manifestarle il suo incredulo sdegno allorché sopraggiungono Gregor, Kolenatý e il conte Hauk. Kolenatý e il suo assistito sono decisi a denunciare Emilia per frode, a causa delle sospette e inesplicabili contraddizioni del suo racconto, in cui risultano confuse e sovrapposte le figure di Elian McGregor e di Elina Makropulos. Emilia si decide infine a raccontare l’autentica versione della sua inverosimile storia: ella è stata Elian, Elina e molte altre ancora. Ma viene creduta solo quando i primi segni di morte appaiono sul suo volto, ora che la pozione sta esaurendo i suoi effetti. Emilia rinuncia a servirsi della pozione e decide di lasciarsi morire, comprendendo che la sua perpetua giovinezza non dà altro che dolore e apatia. Solo chi vive nell’imminenza inesorabile della morte, rivela Emilia in un appassionato addio ai presenti, può provare qualcosa come la felicità: «Oh! la vita non dovrebbe durare così a lungo! Se solo vi accorgeste come è facile per voi la vita! Voi siete così vicini a ogni cosa! (...) Per la banale, fortuita ragione che morirete in così breve tempo». Emilia muore mentre il documento che cela il ‘segreto Makropulos’, da lei donato con le sue ultime parole alla giovane ammiratrice Krista per farne un’altra prodigiosa cantante, viene dato alle fiamme.

Janácek assistette all’Affare Makropulosdi Capek il 10 dicembre 1922, poche settimane dopo la sua prima rappresentazione: avrebbe iniziato a lavorare alla partitura nel settembre dell’anno successivo, portandola a compimento nel dicembre del ‘25. In parallelo alla stesura musicale, i tagli e le modifiche apportate dal compositore al testo della commedia, nonché al suo stesso significato originario, furono numerosi quanto significativi. L’allora trentacinquenne Capek, che con Jaroslav Hašek fu il solo scrittore cèco ad assurgere a fama internazionale nel periodo tra le due guerre, era una figura apprezzata in patria e all’estero in specie per la sua novellistica ispirata a temi fantascientifici alla Wells – a lui si deve tra l’altro l’invenzione del termine ‘robot’. Alla sua uscita, nella commedia di Capek si vide una risposta dissenziente aBack to Metusalehdi G.B. Shaw, in cui si ipotizzava che un’accresciuta durata della vita avrebbe determinato un corrispondente aumento di saggezza e felicità nel mondo. Capek smentì il rapporto con Shaw, ma giunse comunque a conclusioni simmetricamente opposte alle sue. Nella lunga dissertazione filosofica che oppone i punti di vista di Kolenatý a quelli del barone Prus e di Vitek, viene affermata l’impraticabilità sociale di una vita di trecento anni («il nostro sistema sociale è completamente basato sulla brevità della vita. Pensate per esempio ai contratti, alle pensioni, alle assicura-zioni», osserva Kolenatý), e soprattutto la sua mancanza di attrattive per l’individuo («Non puoi continuare ad amare per trecento anni. E non puoi andare avanti ad avere speranze, creare e avere delle curiosità per trecento anni. Tutto diventa noioso», soggiunge Emilia). Capek affermò di aver cercato con la propria commedia di infondere nella gente un messaggio di ironico ottimismo. Ma nelle mani di Janácek la commedia divenne tutt’altra cosa, in particolare nel culmine drammatico dell’opera, polarizzato dal finale del terzo atto. Il compositore manifesta con tutta evidenza una sensibilità diretta e precisa per il dramma esistenziale della sua eroina, e invece un interesse alquanto minore per le tematiche sociologiche care a Capek. Se tale discrepanza drammaturgica resta più velata nei primi due atti, diviene palese nella metamorfosi cui Janácek sottopone Emilia al termine del terzo donandole, con l’eloquenza della musica ancor più che con le modifiche al testo, quel soffio di intima e umana tragicità che in Capek restava nelle intenzioni. Janácek credeva in un teatro musicale conciso: e la sveltezza del suo declamato, se si fa eccezione per il duetto del primo atto tra Emilia e Gregor, per il finale e per pochi altri momenti, procede con singolare fluidità. Dall’epoca del rorido lirismo diJenufa, il suo capolavoro teatrale ancora intessuto di eredità musorgskiane e tuttavia venato di una precoce vocazione espressionista, lo sviluppo stilistico del compositore ha tracciato un arco assai ampio. Il miracolo del suo celebrato ultimo decennio produttivo, nel corso del quale vedono la luce ancheLa volpe astuta, Kát’a KabanováeDa una casa di mortiper limitarsi al solo ambito teatrale sta appunto nei tratti di una lucida e complessa modernità, libera degli eccessi di una vocalità spinta o plateale. Tratti che vanno ad arricchire e a intersecarsi originalmente con le ricerche, in lui già operanti dal principio del secolo, sulla modalità, sulle inflessioni del linguaggio parlato e sulla variazione ritmico-timbrica dei temi – principio operativo, quest’ultimo, che lascia sempre più in ombra quello del tradizionale ‘sviluppo’. La tendenza a instaurare una vocalità di austera e stringata secchezza, già annunciatasi nell’ambito di fiabesca levità deLa volpe astuta,e anche nelle amare e acide caricature deiViaggi del signor Broucek(1907-17), è qui trasferita alla specifica temperie di un ‘realismo fantastico’. E i risultati non sono certo inferiori: i profili del declamato si innestano con sottili effetti stranianti (effetti e clima – il grigiore quotidiano di uno studio d’avvocato, di una camera d’albergo – per i quali è lecito parlare di un burocratico mondo praghese prossimo alle ossessioni kafkiane: non a caso era stato proprio Max Brod, l’amico e biografo di Kafka, a redigere la traduzione tedesca del libretto diKát’a Kabanová) nei rapidi scambi di battute all’inizio del primo atto e nei dialoghi del secondo. Ed è degna di nota l’eleganza con cui il compositore riesce a fondere in un insieme drammatico coerente le inflessioni prosaiche che caratterizzano il recitativo di Kolenatý, all’inizio del primo atto, con la sua seconda parte, segnato dalle appassionate dichiarazioni d’amore rivolte da Gregor a Emilia.

Sotto il profilo delle effusioni vocaliL’affare Makropulosoffre assai meno rispetto al lirismo diKát’a Kabanová,o anche aiViaggi del signor Broucek.A parte il culmine concertante del finale, le potenziali arie assomigliano a monologhi, i duetti si arrestano sulla soglia del dialogo inframmezzato da rari slanci emotivi. Si intende che quanto è perso dal lato della passionalità immediata è guadagnato da quello della problematicità del linguaggio, portato a un grado di coerenza tale da sconvolgere il consolidato tessuto musicale nazionalistico e folklorico scomponendolo in atomi di materiali ormai irriconoscibili, pronti a esser riversati nel gioco di un caleidoscopio tematico di incessante mutevolezza. Anche sotto questo profilo più strettamente musicale, il contrasto con il climax conclusivo dell’opera non potrebbe essere più marcato; e su un’analoga dialettica di contrasti si imperniano anche i rapporti della trama vocale con l’orchestra. Laddove la vivida e a tratti lussureggiante ricchezza dell’apporto di quest’ultima resta a lungo scissa, quasi estranea al declamato vocale, nel finale tutte le forze convergono. Dal coro fuori scena alla scansione metrica più regolare che è qui conferita da Janácek alla prosa di Capek e all’orchestra, tutto contribuisce allora al sostegno di un flusso melodico infine liberato, come se venisse strappato al gelido incantesimo cui era incatenata l’anima di Emilia. Soluzione che tuttavia, è bene sottolinearlo, non appare in alcun modo effettistica, bensì dettata dal naturale apice della curva drammaturgica – il calore dell’umanità infine riconquistata da Emilia, che prende a scorrerle nelle vene soltanto all’atto di accettazione della propria mortalità.

ConLa volpe astuta(che prevede uncastdi uomini, animali, uccelli e insetti) eDa una casa di morti(ambientato in un campo di prigionia siberiano),L’affare Makropulosconferma la scelta di un soggetto quanto mai eccentrico, assai poco ‘operistico’, secondo una tendenza tipica dell’ultimo Janácek. Ma qui, in aggiunta, non ci sono neppure i coloriti fiabeschi dellaVolpe astutao lo spunto del dolente affresco esistenzialistico dellaCasa di morti.Lo stesso Capek in una lettera al compositore si domandava, con la sua abituale modestia, come sarebbe stato possibile conferire la vibrazione del lirismo alla sorda materia di una commedia, «così fitta di conversazioni, altamente impoetica e verbosa come la mia...». È dunque lecito ipotizzare che nel soggetto si sia presentata, al consumato istinto teatrale di Janácek, una forza persuasiva tale da aver catalizzato la sua attenzione al punto da fargli sormontare ogni restante difficoltà. Forza che risiede senz’altro nella speciale complessità drammatica della figura di Emilia, un carattere nelle cui sfaccettature troviamo l’impulsiva gitana ‘resuscitata’ dal ricordo del conte Hauk, la fanciulla indifesa (l’Elina che si rivela nel terzo atto), la primadonna quintessenza di cinismo e vanità, la donna che conquista la saggezza dell’esperienza e persino un tardivo gesto di protettiva generosità verso la giovane Krista. Di qui traspare, nella centralità senza rivali affidata a una memorabile figura femminile, il sotterraneo legame retrospettivo di Emilia con altre due eroine di Janácek, Jenufa e Káta. D’altro canto, a buon diritto si è osservato che in Emilia troviamo una ben maggiore ricchezza di sfumature caratteriali rispetto a Jenufa e Káta: a suo modo Emilia è anche il frutto di una retrospettiva e inquietante sintesi dell’erotismo delle figure femminili giovani (Jenufa e Káta), che in quelle opere lottavano contro l’autoritarismo delle anziane (Kostelnicka, Kabanicha): qui le troviamo riunite in una sola ed enigmatica persona, e sul loro fascino multiplo e uno Janácek getta un ultimo sguardo, che è assieme nostalgico e di virtuosistica lucidità.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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