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Grand Macabre, Le
Opera in due atti e quattro scene proprio e di Michael Meschke, dal dramma La Grand Ballade du Gran Macabre di Michel de Ghelderode
Musica di György Ligeti 1923-
Prima rappresentazione: Stoccolma, Teatro Reale, 12 aprile 1978

Personaggi
Vocalità
Amanda
Soprano
Amando
Mezzosoprano
Astradamors
Basso
Gepopo
Soprano
il ministro bianco
Recitante
il ministro nero
Recitante
Mescalina
Mezzosoprano
Nekrotzar
Baritono
Piet la pentola
Tenore
Principe Go-Go
Ruffiack
Baritono
Schabernack
Baritono
Schobiack
Baritono
Venus
Soprano
Note
L’idea di cimentarsi in un’opera di ampio respiro risale al 1965, quando Göran Gentele, direttore dell’Opera Reale di Stoccolma la suggerì a Ligeti, offrendogli tutto l’appoggio e i mezzi necessari alla realizzazione. Il compositore transilvano, che a quell’epoca andava concludendo i suoi primi lavori teatrali, ossia i minidrammi su libretto proprioAvventureeNuove avventureper tre voci e sette strumenti (1962-66), accettò entusiasticamente, riservandosi di comunicare al più presto il soggetto. In realtà gli occorsero circa otto anni – troppi peraltro per soddisfare la curiosità di Mengele, che morì in un incidente stradale nel 1972 – per decidere che lapiécein tre attiLa Ballade du grand macabre, scritta quarant’anni prima dallo scrittore belga di lingua francese Michel de Ghelderode, faceva al caso suo e affidò la stesura del libretto allo scrittore, nonché direttore del Teatro delle marionette di Stoccolma, Michael Meschke, che sarebbe poi stato anche il regista della prima rappresentazione. Una prima redazione del libretto fu pronta nel 1973 ma Ligeti la giudicò troppo verbosa. Una assai più concisa seconda redazione pervenne al musicista nell’estate del 1974 e fu dunque solo dal dicembre di quello stesso anno che Ligeti iniziò ad attendere alla partitura, modificando ulteriormente il libretto man mano che il lavoro procedeva, per concluderla nell’estate del 1977.

L’opera è costituita da due atti di due scene ciascuno. L’azione si svolge in un tempo qualsiasi, nell’immaginario paese di Breughellandia, così chiamato in quanto ispirato ai temi fantastici, mostruosi e apocalittici dei quadri di Breughel.Scena prima. I due giovani e bellissimi amanti Amando e Amanda (nella primitiva redazione del libretto essi si chiamavano Spermando e Clitoria) non trovano di meglio dove appartarsi per dar libero sfogo alla loro irrefrenabile passione erotica che un sepolcro, dal quale appare l’angelo della morte Nekrotzar, che si presenta comegrand macabree annuncia la fine del mondo allo scoccare della mezzanotte. Non vi sarà scampo né per i buoni né per i cattivi. Nekrotzar costringe il sempre brillo Piet, che era lì nei pressi, a recuperare la sua tromba, il suo cappello, la sua giacca e la sua falce dal sepolcro, e montandovi sopra come a cavallo va a Breughelland facendo terra bruciata di tutto ciò che trova sulla sua strada. Musicalmente la scena è dominata dal sensualissimo duetto dei due amanti.Scena seconda. Protagonista della scena è un’altra coppia, quella un poco perversa formata dall’astrologo Astradamors e da sua moglie Mescalina. Egli indossa biancheria intima femminile sopra il vestito, mentre la donna, sadica e ninfomane, maneggia attrezzi erotici di ogni tipo. Al termine delle loro attività erotiche, Mescalina spedisce Astradamors al telescopio dove questi intravvede una sorta di catastrofe, mentre la donna ha una visione erotica in cui le appare Venere. Giunge allora Nekrotzar per complimentarsi con Astradamors per la sua preveggenza e per uccidere Mescalina, prima vittima del “dies iraeâ€, in un violento abbraccio da lei fortemente desiderato. La scena e l’atto si chiudono con il trio di Nekrotzar, Piet e Astradamors che se ne escono festanti, e un po’ brilli, dal palazzo di quest’ultimo.Scena terza. Il principe Go-Go si trova nel proprio palazzo, assediato dalle richieste di due ministri leaders dei partiti nero e bianco quando, scortato da un manipolo di agenti, giunge il capo della polizia (un soprano di coloratura) ad avvisare, in un linguaggio reso peraltro incomprensibile dal virtuosismo della linea vocale, che su Breughelland grava una incombente minaccia di catastrofe. Ben presto la minaccia si rivela nell’apparizione di Nekrotzar che entra in scena in forma di ‘collage’ vivente, accompagnato da una musica terrificante, costituita dal tema distorto del finale della sinfoniaEroicadi Beethoven nei gravi, da unragtimee da uncha-chanegli acuti, e da una fanfara di ottoni nei toni medi. Dopo aver nuovamente annunciato la fine del mondo, Nekrotzar si unisce alla solenne bevuta di Astradamors e Piet. Successivamente richiama la distruzione del mondo passato, mentre risuona una musica in stile rococo. Quindi, sentendo avvicinarsi la mezzanotte, richiama il ‘non essere’, mentre l’orchestra suona una serie di accordi infausti che culminano in un sorta di canone. Nekrotzar stesso cade: la fine del mondo è giunta.Scena quarta. Nello stesso luogo ‘tombale’ della prima scena, Astradamors e Piet ricercano se stessi morti, mentre uno alla volta riappaiono Mescalina, il principe Go-Go, i ministri, Nekrotzar, e finalmente, emersi dalla tomba in cui se ne erano felicemente rimasti rinchiusi per tutto quel tempo, gli amanti Amando e Amanda. Sono davvero tutti morti e resuscitati? L’al di là non è altro che il ripresentarsi della medesima situazione di prima oppure, più semplicemente, Nekrotzar è un autentico ciarlatano? Nellapiécedi Ghelderode egli viene smascherato come falsificatore, mentre nell’opera il problema rimane aperto, mentre tutti si uniscono in una passacaglia finale (quasi una parodia di quella parodia dell’opera ch’è il finale fugato del verdianoFalstaff), intonando la morale: «Non abbiate paura di morire, buona gente; nessuno sa quando sarà giunta la sua ora. E quando ciò avverà, lasciate che sia. Addio, ma fino allora vivete lieti!».

Come è stato osservato, solo la musica può fungere da principio ordinatore di quest’opera dalla drammaturgia volutamente grottesca, assurda, frivola. Non a caso, sulla base del rispettivo materiale musicale, le quattro scene onde l’opera è costituita sono state analizzate come altrettante sezioni formali di una grande composizione sinfonica, comprendente una esposizione, uno scherzo, un grande finale e una ripresa variata dell’esposizione. Al di là di ciò, a ogni modo, l’aspetto che più emerge all’ascolto delGrand macabreè la forte dimensione ironica che aleggia sui marionettistici personaggi, sul carattere grottesco dell’azione e su tutti i motivi (dal politico all’erotico al fantastico) che abitano questa scena di ridondante esuberanza, come se il compositore, che già aveva affrontato artisticamente il tema della morte nella sua composizione forse più celebre, ilRequiemdel 1963-65, volesse lasciar intendere allo spettatore che solo la corda dell’ironia e del distacco espressivo può legittimamente rappresentare tale mistero.Le grand macabreè opera acclamatissima, tanto che si contano – ed è forse un record negli ultimi decenni – ben sette nuove produzioni di essa in tutta Europa nel primo quinquennio di circolazione, tra cui una memorabile a Bologna nel 1979 con la regia di Giorgio Pressburger e la direzione di Zoltan Pesko; e si direbbe che è acclamata giustamente, non foss’altro che per l’inconsueta ricchezza del trattamento orchestrale, nel quale Ligeti è maestro impareggiabile. Il limite consiste in un certo qual eclettismo stilistico pur di elevatissimo mestiere, ravvisibile non tanto nel gioco di citazioni che contraddistinguono la terza scena (ove è programmatico) ma soprattutto nella dimensione vocale del lavoro, ove i più diversi stilemi della tradizione antica e moderna sembrano non del tutto autentici e forzatamente esibiti, quasi a celare un imbarazzo di fronte al testo, laddove esso è significativamente espressivo.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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