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Oedipus rex
Opera-oratorio in due atti di Jean Cocteau, nella traduzione in latino di Jean Danielou
Musica di Igor Stravinskij 1882-1971
Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre Sarah Bernhardt, 30 maggio 1927

Personaggi
Vocalità
A Shepherd
Creon
Jocasta
Oedipus
Tiresias
Note
Dopo la composizione diMavra, opera buffa «in memoria di Cajkovskij, Glinka e Puškin», Stravinskij torna al teatro conOedipus rex, scritto in collaborazione con l’enfant terribledella cultura francese tra le due guerre, Jean Cocteau. La brusca virata di Stravinskij verso il neoclassicismo si manifestò nel modo più radicale in questa particolarissima rilettura della tragedia di Sofocle, un testo che peraltro lo aveva impressionato fin da ragazzo. Molti ‘compagni di strada’ di Stravinskij rimasero sconcertati da questo esito, non tanto per il fatto che si rivolgesse a un soggetto classico, cosa non nuova, ma per il tipo di poetica che veniva proposta attraverso di esso. Stravinskij e Cocteau presentavano un teatro ormai completamente anti-rappresentativo, in una variante assolutamente originale rispetto agli analoghi tentativi della drammaturgia contemporanea, dai formalisti russi a Brecht. Il primo elemento del teatro drammatico a essere messo in discussione fu quello fondamentale, ossia la lingua. L’adattamento di Sofocle preparato da Cocteau venne infatti tradotto in latino da Jean Danielou, e poi musicato in questa lingua da Stravinskij. Il solo fatto di presentare una vicenda in latino, e per di più colma di arcaismi, indicava la volontà di frapporre tra il mito e il pubblico moderno una netta separazione, accentuata ancor più dalla presenza di un narratore che illustra in francese, con compassato distacco, gli avvenimenti rappresentati. Una lunga didascalia in partitura spiega come le due scene debbano essere concepite senza profondità, e i personaggi addobbati in modo tale da muovere liberamente solo testa e braccia. I personaggi non dialogano mai effettivamente tra loro, ma piuttosto espongono le proprie parole, quasi presentassero la parte della vicenda che li riguarda, e non un dramma vissuto. Questa disumanizzazione dei caratteri stabilisce una gerarchia di prospettiva, per cui lo spettatore assiste, per così dire, al racconto del racconto del mito. Poiché il registro dell’opera non ha affatto intenzioni ironiche o parodistiche, ma assolutamente tragiche, si può forse pensare cheOedipuspretendesse un approccio così radicalmente nuovo per il teatro d’opera da impedire al pubblico parigino, e anche a molti accaniti sostenitori dell’avanguardia musicale, di comprendere appieno il valore di questa breve opera. Tuttavia oggi bisogna riconoscere che molte tendenze della cultura del dopoguerra, in particolare ciò che passa sotto l’etichetta di postmoderno, hanno avuto proprio in questa concezione estetica buona parte delle loro radici, soprattutto per l’idea, così chiaramente espressa inOedipus, che solo attraverso la mediazione culturale un’opera d’arte ha valore per l’uomo moderno.

Atto primo. Nella piazza di Tebe, la folla chiede con angoscia a Edipo (“Caedit nos pestis, Theba pestis moriturâ€) di salvare la città dalla peste, così come in precedenza l’aveva liberata dalla Sfinge. L’oracolo, dice Creonte (“Respondit deusâ€), sostiene che la città è colpevole di ospitare l’assassino del vecchio re Laio. Visto che ogni ricerca è vana, Edipo manda a chiamare il veggente cieco Tiresia. Il loro confronto (“Dicere non possum, dicere non licetâ€) si trasforma in aspro dissidio: Tiresia, provocato nell’amor proprio, dichiara che l’assassino del re è il re. Un coro esultante (“Gloria, gloria, gloriaâ€) saluta l’ingresso di Giocasta.

Atto secondo. Giocasta rimprovera al marito di urlare nel mezzo di una città malata (“Nonn’erubescite, regesâ€). Giocasta cerca di rassicurare il consorte, sostenendo che non c’è da fidarsi degli oracoli; anche di Laio, dice, predissero che sarebbe stato ucciso dal figlio, e invece morì a un trivio della strada per mano di un forestiero. Mentre il coro ripete ossessivamente la parola «trivium», Edipo comincia a dubitare, ricordando come egli stesso, prima di arrivare a Tebe, avesse ucciso a un trivio un vecchio. In un duetto agitato i due coniugi esprimono la loro ansia crescente. La tragedia precipita su Edipo: un messaggero porta da Corinto la notizia della morte del re Polibio (“Mortuus est Polybusâ€), rivelando allo stesso tempo a Edipo che in realtà egli era solo un figlio adottivo del re deceduto. Infine le parole del vecchio pastore (“Oportebat tacere, nunquam loquiâ€) non lasciano più dubbi a Edipo sull’atroce verità: senza saperlo, egli ha ucciso il padre e si è congiunto con la madre. Il messaggero dà notizia della tragica fine di Giocasta (“Divum Jocastae caput mortuumâ€), mentre il coro rende omaggio all’infelice destino dell’accecato Edipo.

La definizione di opera-oratorio non deve trarre in inganno sulla natura diOedipus rex, che è un’opera, sebbene certamente lontana dai consueti schemi melodrammatici; il termine oratorio è aggiunto soltanto per sottolineare il carattere epico e antirappresentativo di questo teatro. L’azione è ripartita nei due atti attraverso arie, cori e scene, che con le loro nette cesure musicali alludono alle forme chiuse dell’opera. Stravinskij non concentra nel pezzo chiuso l’espressione emotiva, principio caratteristico dell’opera italiana, bensì ne sfrutta l’involucro formale per costruire il meccanismo drammaturgico, come si può osservare nella scena fondamentale dell’opera, il duetto all’inizio del secondo atto tra Edipo e Giocasta (“Nonn’erubescite, regesâ€). Quello che in Sofocle era un terribile dialogo, che scivolava su un piano inclinato verso il precipizio dell’inevitabile catastrofe, in Stravinskij diventa una fredda sovrapposizione di nude circostanze, resa forse in modo altrettanto efficace ma con procedimento opposto. La cognizione del dolore di Edipo, che qualunque altro operista avrebbe probabilmente cercato di rappresentare attraverso un crescente accumulo di tensione musicale, viene concepita viceversa da Stravinskij bloccando il flusso del tempo in una struttura formale a vista, addirittura inserendo dei ritornelli di singole sezioni. Questo principio di stilizzazione si ripercuote anche nello stile vocale e strumentale: i personaggi oscillano da una declamazione ritmica, allusiva a una sorta di prosodia arcaicizzante, a una vocalità modellata su stili settecenteschi. Edipo è l’unico personaggio a cui è consentito di travalicare questi stretti limiti espressivi, mostrando i propri stati d’animo in una varietà di modi che va dal canto melismatico, con cui risponde alla folla impaurita, alla linea agitata eppure espansa con cui mette a parte Giocasta delle sue paure, al puro e semplice ‘urlato’ con cui insulta Tiresia. Il coro, costituito di sole voci maschili, ha da parte sua un grande rilievo. Gli atti sono incorniciati dagli interventi del coro: tutto accade sotto gli occhi dei tebani, dalla cui sofferenza ha origine il dramma. Il loro commento accompagna la parola di ogni personaggio e integra il racconto dei fatti, sintetizzato negli elementi essenziali della tragedia. Tutta la dolorosa scena finale è affidata al coro, che racconta il luttuoso epilogo della vicenda immobilizzato in una sorta di tragico rondò, scandito dall’ossessiva frase del messaggero “Divum Jocastae caput mortuumâ€.

L’orchestra è l’espressione sonora del processo di ‘oggettivazione’ della drammaturgia. Nell’atteggiamento compositivo di Stravinskij non v’è traccia di sviluppo tematico, né tanto meno di ‘psicologia’ musicale. La tonalità è affermata come un principio ‘artificiale’, di cui si può tener conto come si vuole; l’orchestra è disarticolata in colori asciutti, separati per famiglie, con frequenti interventi solistici. I ritmi sono per lo più secchi e nervosi, e spesso si combinano in percussioni di timbri, con un effetto quasi da impersonale meccanismo, come nell’impasto di timpano, arpa e pianoforte che accompagna la perorazione iniziale del coro, o in certi ostinati strumentali come quello del corno sulle parole del messaggero.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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