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Serse
Dramma per musica in tre atti anonimo, da Xerse di Silvio Stampiglia
Musica di Georg Friedrich Händel 1685-1759
Prima rappresentazione: Londra, King’s Theatre, 15 aprile 1738

Personaggi
Vocalità
Amastre
Contralto
Ariodate
Basso
Arsamene
Contralto
Atalanta
Soprano
Elviro
Basso
Romilda
Soprano
Serse
Contralto
Note
Nella scelta dei propri testi operistici Händel aveva frequentemente fatto riferimento a libretti preesistenti; le sue preferenze erano cadute a volte anche su lavori scritti decenni prima, ma non si era mai spinto così indietro come nel caso diSerse. In realtà la novità di questa che fu una delle sue ultime opere non è nella vetustà del modello: egli fra l’altro non si rifà all’originale di Minato (?Xerse, musicato da Cavalli nel 1654), ma al più recente rifacimento di Stampiglia per l’allestimento con musica di Giovanni Bononcini (Xerse, Roma 1694). Quello che rendeSerseun’opera anomala nella produzione händeliana è invece l’acquisizione di caratteristiche proprie dell’opera seicentesca, ancora riscontrabili in Bononcini e che non si è voluto eliminare, come di solito avveniva in situazioni analoghe. Ovvero: una versificazione che è ancora quella di Minato (Stampiglia ha solo operato tagli o sostituzioni, quasi mai ha riscritto il testo); una organizzazione scenica che ricalca sostanzialmente la versione del 1694 (con il mantenimento di personaggi buffi, caratteristica ormai estranea all’opera seria settecentesca); e un trattamento della musica ampiamente mediato da Bononcini (tanto che qualcuno ha parlato inopportunamente di plagio). Questo consapevole (e forse sperimentale) ritorno al passato è in qualche modo sintomo di crisi. Gli ultimi suoi lavori,Giustino,BereniceeFaramondo(in cui curiosamente troviamo tracce proprio delloXersesbononciniano), avevano sortito scarsissimo successo e Händel tenta così la carta del rinnovamento radicale come già aveva fatto con successo in passato (per esempio conTeseo, che esula dai canoni soliti per rifarsi a una tipicatragédie en musiquedi Lully, in cinque atti). Ma i tempi sono cambiati. Non che si sia esaurita la vena – dopo la sua ultima opera (Deidamia, 1741) Händel scriverà per ancora quasi vent’anni componendo tutti i suoi migliori oratori – più probabilmente si assommano circostanze diverse: il pubblico inglese è stanco di opere italiane, i castrati non stupiscono più, e in fondo si sono un po’ sgonfiati i fanatismi fomentati dall’uno o dall’altro partito che avevano finora finanziato le opere a Londra. Händel ce la mette tutta per risollevare il pubblico dal torpore e, malgrado non sortisca il successo sperato,Serseriesce alla fine uno dei suoi lavori migliori. La storia è rimasta quella: eliminati gran parte dei personaggi di contorno del libretto originale – e con loro una buona dose di scene comiche o magiche (che del resto Händel non conosceva avendo sott’occhio solo la partitura di Bononcini) – rimangono gli intrighi amorosi punteggiati qua e là da brevi momenti di composta comicità e cori d’ambientazione militare necessari a ricordare la posizione politica di Serse. In breve: delle tre donne in scena due spasimano per Serse; una perché promessa sposa (Amastre), l’altra per capriccio (Atalanta). Naturalmente Serse non ha occhi che per la terza (Romilda, amante ricambiata di Arsamene, fratello dello stesso Serse). Da qui gl’inconvenienti: Arsamene si dispera, Romilda si scoccia, Atalanta intriga, Amastre s’infuria, il tutto sotto lo sguardo divertito del servo Elviro. Finale lieto, naturalmente, con le due coppie ricongiunte e Atalanta che si consola con: «un altro amante/ Trovar saprò». Se sono i due fratelli a raccogliere il maggior numero di arie (tante per tutti, ma prevalentemente brevi e con pochida capo), la scrittura destinata a Serse, interpretato dal famoso castrato Caffarelli, spicca per varietà e bellezza. Da un’arioso tutto intimista come la celeberrima “Ombra mai fuâ€, I,1 (il cosiddetto ‘Largo di Händel’) si passa infatti attraverso ogni genere – codificato e non – d’aria, arioso e arietta fino ai furori di “Crude furie degl’orridi abissi†(III,11), imponendo, a chiunque si voglia confrontare con questo ruolo, un’impegno vocale oltre che impervio dal punto di vista tecnico, sfaccettato al limite dell’ecclettismo dal punto di vista interpretativo. Lo stile di Händel è rimasto quello, è mutato l’approccio al testo che si riscontra anche nella scrittura vocale: non si raggiungono più le arditezze di un’opera comeGiulio Cesare, non per recuperare l’ambientazione pastorale seicentesca (come s’è detto), ma perché Händel ha già imboccato quella strada attenta ai caratteri, all’intreccio e allo sviluppo drammaturgico, che percorrerà più decisamente con l’oratorio inglese.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

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