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Étoile, L’
Opéra-bouffe in tre atti di Eugène Leterrier e Albert-Guillaume-Florent Vanloo, da Verlaine
Musica di Emmanuel Chabrier 1841-1894
Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre des Bouffes-Parisiens, 28 novembre 1877

Personaggi
Vocalità
Aloés
Mezzosoprano
il principe Hérisson de Porc-Epic
Tenore
la principessa Laoula
Soprano
Lazuli
Soprano
re Ouf I
Tenore
Siroco
Basso
Tapioca
Tenore
Note
Quando l’opera gli venne commissionata dai Bouffes-Parisiens, roccaforte di Offenbach, Chabrier aveva da tempo in animo di accostarsi al teatro tramite l’operetta e anzi, vagliando una possibile rosa di soggetti, si era trovato a collaborare addirittura con Verlaine. Per quante dicerie siano sorte intorno alla rapidissima redazione della partitura, Chabrier non fu quindi colto alla sprovvista dall’incarico, che gli consentì piuttosto di formulare finalmente in contorni nitidi idee ormai ben sedimentate; e, se la trama ricalca l’ingenuità macchiettistica connaturata al genere, il trattamento musicale rivela una personalità non comune, con esiti superiori anche rispetto al suo più celebre titolo,Gwendoline.

Per festeggiare il proprio compleanno, il re Ouf I intende allestire una pubblica impiccagione e, al levarsi del sipario, si sta aggirando tra la folla alla ricerca di un capro espiatorio; crede di averlo trovato nel giovane Lazuli, che gli ha risposto con malagrazia, ma cambia idea quando l’astrologo di corte gli rivela che il condannato prescelto è in realtà il suo gemello astrale, e che le loro vite sono quindi legate. La reazione sgarbata di Lazuli nei confronti del re nasceva da una delusione amorosa; per rasserenarlo, Ouf stesso propizia la fuga del ‘gemello’ con l’oggetto dei suoi desideri, Laoula, ignorando che costei è la propria fidanzata sotto mentite spoglie. Nel terzo atto, dopo grottesche peripezie, Ouf si vede costretto a capitolare, cedendo Laoula a Lazuli per trattenerlo dal suicidio; rimasto senza eredi, il re designa Lazuli come successore.

Lo squisitomélangedi ironia e raffinatezza che traspare dall’intero lavoro dovette apparire poco serio agli ascoltatori colti, troppo intellettuale alle platee popolari; ma Chabrier mostrava di aver già assimilato la lezione di Offenbach, arricchendola di una grazia birichina capace di ingentilire anche le situazioni più prevedibili. Il tono farsesco con cui la vicenda insiste sul particolare macabro dell’esecuzione capitale irritò un poco la sensibilità dellabelle époque. La freddezza riscontrata presso il pubblico non venne però condivisa da Debussy – che lodava il «truculent entrain» dei pezzi d’assieme – né da Messager e Poulenc, ammirati del sobrio nitore della partitura. Particolari come l’ingresso in scena di Laoula, su una melodia estraniata e di sapore modale, o il finale dello stesso primo atto, sorvegliata parodia del patetismo, sembrano miniature, incuneate nel contesto senza rallentarlo, anzi ravvivandolo di guizzi imprevisti e di finezze quasi nascoste. Seguendo una tipica consuetudine operettistica, il compositore innerva la partitura di rimandi ad altri autori, in un divertito gioco di ammicchi che coinvolge Wagner (la romanza della stella), Donizetti (duetto dellachartreuse verte), Verdi (ouverture); la rete dei sottintesi non lede affatto l’unità dell’opera, né indulge a caricature di dubbio gusto, ma si intride a sua volta della patina elegante e a tratti esotica della strumentazione.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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