La storia del testo di
Carmen, o meglio la storia dei suoi travisamenti, è lunga quanto la vita del capolavoro di Bizet. La prima rappresentazione all’Opéra-Comique, il 3 marzo 1875, fu curata dallo stesso autore, che seguì personalmente tutti gli estenuanti tre mesi di prove, durante i quali apportò numerosi tagli e modifiche alla partitura originaria, costruita nello stile
comique, cioè con dialoghi recitati alternati alle parti musicali. Pochi giorni dopo la ‘prima’ (un insuccesso), l’autore pubblicò uno spartito per canto e pianoforte che modificava la stesura originale in più punti, tenendo conto sia delle variazioni decise durante le prove che di altri ripensamenti. Per l’autunno dello stesso anno,
Carmenfu inserita nella stagione di Vienna dove, per consuetudine, non si davano opere del genere
comique. Era perciò necessario preparare una nuova versione in cui i recitativi musicati sostituissero i parlati, e a questo si accingeva Bizet quando, il 3 giugno di quell’anno, morì. Della preparazione dell’edizione di Vienna si occupò così l’amico Guiraud la cui edizione, pubblicata nel 1877, diede all’opera la veste nella quale fu conosciuta nel mondo. Se a ciò si aggiunge il fatto che per decenni quasi ovunque fu per lo più adottata la traduzione italiana del libretto, in ossequio al’idea ottocentesca che il teatro musicale è italiano per definizione, si ha un’idea di quanti e quali equivoci siano alla base di un successo e di una popolarità pressoché universali. E non si deve credere che gli anni del rigore storicistico e della filologia abbiano chiarito il quadro. La revisione critica (ma sarebbe meglio dire criticata) che il musicologo tedesco Fritz Oeser pubblicò nel 1964 ha sì il merito di ristabilire l’autenticità dei dialoghi parlati (per altro già utilizzati in un’edizione discografica degli anni Cinquanta diretta da Cluytens) ma Oeser, affidandosi dogmaticamente alla prima partitura autografa, non prende nemmeno in considerazione i molti e fondamentali ripensamenti voluti dall’autore per le rappresentazioni di Parigi, ritenendoli solo una conseguenza della mediocrità artistica e culturale dell’ambiente dell’Opéra-Comique. Il risultato è che, a tutt’oggi, non esiste una ‘vera’
Carmen, ma varie ipotesi di
Carmen.
Atto primo. A Siviglia verso il 1820. Presso la manifattura di tabacchi, Moralès, capo dei dragoni, osserva l’andirivieni dei passanti. Giunge, dal suo paese di campagna, Micaëla, alla ricerca del brigadiere Don José. Le viene detto che José non è ancora arrivato, anche se non tarderà molto; la giovane quindi si allontana. Una grande animazione accompagna la comparsa sulla piazza delle ragazze, che escono dalla manifattura per la pausa. Solo José, giunto nel frattempo, si mostra disinteressato alle giovani: ama Micaëla e ha promesso alla madre di sposarla. Tutti gli uomini attendono la comparsa di Carmen, e quando finalmente la bella sigaraia compare le si stringono attorno (habanera: “L’amour est un oiseau rebelleâ€). Carmen si accorge dell’indifferenza di José e per provocarlo, senza proferir parola, gli lancia un fiore prima di ritornare nella manifattura. José ne è turbato e, quasi inconsciamente, cela il fiore sotto la giubba. Ritorna Micaëla, consegna a José una lettera della madre (“Parle-moi de ma mèreâ€) e prima di tornarsene al paese lo bacia castamente. Grida improvvise s’odono provenire dalla manifattura. Carmen si è azzuffata con una compagna e l’ha ferita al volto. Zuniga, tenente delle guardie, l’arresta e ordina a José di condurla in prigione. Rimasta sola con il brigadiere la donna dà inizio alla sua opera di seduzione: gli promette amore in cambio della libertà (seguidilla: “Près des rémparts de Sévilleâ€). José, definitivamente irretito, l’aiuta a fuggire.
Atto secondo. Un mese è passato. Nella taverna di Lillas Pastia, Carmen attende il ritorno di Don José, che è stato imprigionato per averla lasciata fuggire, danzando con le altre zingare (Carmen,chanson bohème: “Les tringles des sistres tintaientâ€). Entra, fra le acclamazioni generali, il torero Escamillo, che vuole brindare con gli amici (“Votre toast, je peux vous le rendre... Toréador, en gardeâ€). Egli rivolge qualche frase galante a Carmen, ma il pensiero della donna è rivolto solo a José, e quando gli amici contrabbandieri la invitano a unirsi a loro (“Nous avons en tête une affaireâ€) per un nuovo colpo, la zingara rifiuta dichiarandosi troppo innamorata per questo genere di imprese. Giunge finalmente José, uscito di prigione, ma s’ode una tromba suonare la ritirata e il brigadiere si accinge a far ritorno in caserma. Grande è allora il dispetto di Carmen, che copre di scherno l’uomo. A nulla valgono le profferte d’amore di José (“La fleur que tu m’avais jetéeâ€) e solo l’improvviso sopraggiungere di Zuniga interrompe il loro litigio. Scoppia una rissa, sedata dall’intervento dei contrabbandieri, e a quel punto José si vede costretto a unirsi a loro disertando l’esercito.
Atto terzo. La vita fra le montagne non si confà a Don José, torturato dai rimorsi. Anche il suo rapporto con Carmen non è più quello di un tempo. La zingara interroga le carte (“Parlez encore, parlez, mes bellesâ€); il responso è terribile: la morte (“En vain pour éviter les réponses amèresâ€, Carmen). Micaëla, nel disperato tentativo di redimere l’uomo che ama, giunge nel rifugio dei contrabbandieri (“Je dis que rien ne m’épouvanteâ€) incitando Don José a raggiungere la madre morente. L’uomo la segue, non senza aver prima minacciato Carmen della quale è follemente geloso.
Atto quarto. Di fronte all’arena di Siviglia, il popolo acclama festante il corteo dei toreri. Anche Carmen, ora innamorata di Escamillo, è fra la folla. Celato nella confusione generale vi è anche Don José, pazzo di gelosia. La zingara lo affronta, sola nella piazza deserta poiché tutti stanno assistendo alla corrida. José implora e minaccia. La vuole tutta per sé. Ma la donna gli si nega, la sua mancanza di carattere l’ha annoiata, e in segno di disprezzo gli getta in faccia l’anello che le ha donato. A quel punto, furente e accecato dalla disperazione, José l’uccide (“C’est toi! C’est moi!â€).
In rapporto con la novella di Mérimée da cui la vicenda è tratta, varie sono le modifiche apportate dai librettisti, con il presumibile contributo di Bizet stesso: l’introduzione del personaggio di Micaëla, contraltare ‘buono’ (ma la bontà , si sa, è spesso un po’ noiosa) di Carmen; lo spazio più ampio concesso a Escamillo, nella novella solo accennato, mentre nell’opera è l’oggetto drammaturgicamente necessario della gelosia di José; e infine l’addolcimento, per così dire, della caduta morale di Don José, omicida sì, ma solo per un estremo gesto di autodistruzione (in Mérimée, Don José uccide anche il marito di Carmen e il tenente). Se la costruzione drammatica di Bizet appare meno cruda della novella, è tuttavia perfettamente funzionale alla dimensione teatrale, con una progressione che dal descrittivismo già percorso da presagi di morte del primo atto giunge, attraverso la disfatta di Don José, all’epilogo violento e risolutivo. Una progressione drammaturgica che i dialoghi parlati dell’originale rendono indubbiamente più incalzante e della quale la caratterizzazione ‘spagnola’ della musica non è accessorio coloristico, ma parte integrante e necessaria. La Spagna creata da Bizet è infatti, prima ancora che un luogo geografico (peraltro mai visitato dall’autore), il luogo della psicologia umana, il luogo della passionalità e dell’istinto, dei conflitti primari: Amore e Odio, Libertà e Legami, Maschio e Femmina. Ed è in questi dualismi, in questa doppia connotazione (da un lato una caratterizzata definizione dell’ambiente e del clima dell’azione, dall’altro un’analisi psicologica di inedita spregiudicatezza) che va ricercata l’universalità dell’opera di Bizet e dei due caratteri di Don José e di Carmen. Poiché più che la sensualità fiammeggiante, pur non disattesa in partitura (come evidenziano lahabanerae laseguidilla), in modo ben più attuale è l’inafferrabilità di Carmen ad avvincere e legare José, quel suo darsi e negarsi continuamente a definire il loro rapporto. Le caratteristiche che superficialmente definiscono il personaggio di Don José, tipico ‘maschio mediterraneo’ incapace di ricomporre un’immagine della donna che non sia angelo materno o diavolo tentatore, hanno modo di sgretolarsi nel finale dell’opera. Nella bellissima (poeticamente non meno che musicalmente) frase «Ah! laisse-moi te sauver, et me sauver avec toi!» Bizet improvvisamente ci pone di fronte alla lacerata introspezione di José, finalmente conscio della propria inadeguatezza a vivere un’esistenza separata da quella di Carmen, tanto da preferire, per debolezza e disperazione, l’annientamento di entrambi. Analogamente Carmen, nella fatale scena delle carte funestamente presaghe, appare consapevole del proprio destino; ma ciò che per José è accettazione passiva, per lei sarà l’estrema e logica conseguenza di una scelta esistenziale orgogliosamente anticonformista, che fa della fedeltà verso se stessa la ragione prima della vita. Purtroppo tale complessità psicologica raramente trova riscontro nella prassi teatrale corrente. Troppo spesso le interpreti di Carmen ci mostrano, della zingara inventata da Mérimée, solo la dimensione ancheggiante e rapace, dimenticando la storica lezione di Maria Callas, dove per la prima volta fu dato scorgere quanto di audacemente luciferino si celi nel personaggio creato da Bizet. Escamillo e Micaëla non beneficiano certo (nella musica e nella drammaturgia) di analogo approfondimento psicologico. Per questi due personaggi Bizet si muove sui binari di una rassicurante tradizione. Soprattutto Micaëla, con il suo melodizzare gentile e affettuoso, sembra quasi presa in prestito da un’opera di Gounod. Anche il suo duetto con Don José, tanto ammirato da Wagner (mentre invece Nietzsche, grande estimatore diCarmen, lo riteneva forse il momento meno interessante della partitura), non dice molto di nuovo rispetto al duetto fra Leila e Nadir neLes Pêcheurs de perles. Più ‘intrigante’ è invece il personaggio di Escamillo. Sicuramentemacho, ma abbastanza fatuo (per il suo ruoli Bizet prescrive che si cantiavec fatuité) per non apparire troppo convenzionale. Il suo duettino con Carmen verso la fine dell’opera (“Si tu m’aimes, Carmenâ€), inoltre, è un’autentica scena di seduzione in sedicesimo. Un’affocata sensualità , del resto, è il motore primo dell’opera, come ben dimostra l’invasamento orgiastico dellachanson bohèmeall’inizio del secondo atto. In questo caleidoscopio di luce, colori e ombre, Bizet trova anche il modo di incastonare una pagina di rarefatta contemplazione. Un momento musicale che, leopardianamente, solo in apparenza ha le tinte bucoliche e serene di un quadretto agreste. Alludiamo all’entr’acteposto fra il secondo e il terzo atto, con la sua tersa e sospesa luminosità affidata agli arabeschi dei legni che si stagliano contro il timbro morbido degli archi. Infine, anche l’uso del Leitmotiv, già sperimentato neLes Pêcheurs de perles, troverà la sua massima applicazione inCarmencon quel ‘tema del destino’ che, dopo la sua folgorante apparizione durante il preludio, ritornerà nel corso dell’opera variamente rielaborato.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi