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Vanessa
Opera in quattro atti di Gian Carlo Menotti, da Karen Blixen
Musica di Samuel Barber 1910-1981
Prima rappresentazione: New York, Metropolitan, 15 gennaio 1958

Personaggi
Vocalità
Anatol
Tenore
Erika
Mezzosoprano
il vecchio dottore
Baritono
la vecchia baronessa
Contralto
Lakai
Basso
Nicholas
Basso
Vanessa
Soprano
Note
Prima opera americana rappresentata al Metropolitan di New York in oltre un secolo di vita,Vanessafu un avvenimento accolto in patria da un notevole successo, anche grazie all’aiuto del grande direttore greco Dimitri Mitropoulos; in Europa, dove fu rappresentata al Festival di Salisburgo a distanza di pochi mesi, la reazione del pubblico fu più fredda.VanessaeWest Side Storydi Leonard Bernstein, nate quasi gemelle, sono lo specchio delle vite parallele dei due maggiori musicisti dell’epoca. Tanto è di registro basso, idiomatica, estroversa e popolareWest Side Story, scritta da un figlio di ebrei russi immigrati, altrettanto è di tono alto, raffinata, aristocratica e introversa quella composta da Barber, tipico rampollo della buona borghesia della costa orientale. Mentre la prima si faceva un punto d’onore di distinguersi dalle convenzioni operistiche e di nutrire il suo linguaggio musicale attingendo alla linfa del jazz,Vanessaappartiene intimamente alla grande tradizione europea e ha come ambizione di proseguire nel Nuovo Mondo il cammino interrottosi nella vecchia Europa dopo Puccini e Strauss. La trama venne ricavata dall’amico e compositore Gian Carlo Menotti daSeven Gothic Tales(1934) di Karen Blixen.

Atto primo. Agli inizi del Novecento, in un non meglio precisato paese dell’Europa settentrionale. Vanessa, una bella donna di mezza età, ha speso la sua vita nell’attesa del ritorno di Anatol, l’unico uomo da lei amato. Nella grande villa di campagna, trasformata in uno scrigno di opaca rinuncia, vivono con lei la vecchia baronessa madre, chiusa in un ostile silenzio, e la giovane nipote Erika. Mentre fuori infuria una tempesta di neve, la casa è in agitazione: l’uomo atteso da venti anni ha annunciato il suo arrivo, e Erika cerca di placare la febbrile ansia della zia (“No, I cannot understand”). Giunto l’ospite, Vanessa, seduta davanti al camino senza mostrarsi, pone come premessa al loro incontro (“Do not utter a word, Anatol”) di dirle se la ama ancora prima di guardarla, altrimenti lo prega di andarsene immediatamente senza vederla. L’uomo dichiara di amarla, ma quando Vanessa si volta getta un grido fuggendo: non è lui la persona che ha atteso per tutti questi anni. Richiesto di spiegazioni da Erika (“Who are you?”), Anatol racconta di essere il figlio dell’Anatol amato da Vanessa, e di aver voluto conoscere la donna che fu così importante nella vita del padre ora morto. Lasciato dai genitori privo di sostanze, ma assaicharmantdi modi, il giovane invita Erika a prendere il posto della zia, nella cena preparata per la coppia che ormai non esisterà più.

Atto secondo. Un mese dopo. Erika racconta alla nonna come quella cena sia andata a finire, e come Anatol le abbia poi proposto di sposarla. Ma benché quell’unica notte di passione abbia segnato per sempre il suo cuore, Erika non si nasconde che Anatol, con il suo cinico disincanto, è incapace dell’amore totale in cui ella crede. Chi invece si è ciecamente innamorata di Anatol è Vanessa, che confessa candidamente alla nipote come il giovane le abbia chiesto la mano mentre pattinavano sul laghetto (“Our arms entwined”). Messo alle strette da Erika, Anatol le ribadisce la sua filosofia di vita (“Outside this house the world has changed”) e le rinnova, alla presenza della vecchia baronessa, la proposta fattale dopo la notte d’amore. Scossa da sentimenti contrastanti, alla fine Erika decide di rinunciare ad Anatol e di lasciarlo a Vanessa, rinata a nuova vita.

Atto terzo. Il fidanzamento viene annunciato durante la festa di capodanno. Vanessa è amareggiata per l’assenza della madre e di Erika al ricevimento e comincia a sospettare qualcosa, ma le rassicuranti parole di Anatol (“At last I found you”) e l’obnubilante felicità in cui vive la convincono in breve tempo che tutto sia a posto. Erika scende nel suo leggero abito da sera bianco, ma con l’intenzione di andare nel bosco gelato per disfarsi del frutto della colpa che porta in grembo, inutilmente richiamata dalla vecchia baronessa.

Atto quarto. Vanessa attende angosciata notizie della nipote, a cui è sinceramente affezionata (“Why must the greatest sorrows come”). Anatol la riporta a casa in fin di vita, e quando Erika confessa alla nonna di essere riuscita a perdere il bambino, questa cessa di parlare anche a lei. Vanessa, sempre più turbata da ciò che sta accadendo attorno alla sua felicità, implora Anatol di portarla via al più presto da quella casa (“Take me away from this house, Anatol”). Nell’ultima scena, dopo un intermezzo musicale, la coppia di sposi novelli si congeda dalla casa. Erika rimane nella vecchia villa con la nonna e, interrogata da Vanessa in un estremo tentativo di sapere la verità, le nasconde i propri sentimenti. Partiti gli sposi, la nuova padrona dà ordine alla servitù di velare gli specchi e di chiudere il cancello, come aveva comandato a suo tempo Vanessa. Ora tocca a lei aspettare.

Prima opera di Barber,Vanessaè impregnata della luce crepuscolare del tardo teatro borghese di Ibsen e di Strindberg. I caratteri tuttavia si fermano alla soglia di un patetismo amaro, senza arrivare a una vera e profonda tragicità. Vanessa è in sostanza una prima donna più vocale che teatrale, Anatol un fatuo amoroso piuttosto che un mascalzone e Erika, che in un certo senso è la vera protagonista, un personaggio più ammirevole che memorabile. Un pessimismo esistenziale nato dal fallimento dei sentimenti emerge con più sostanza nell’unico momento in cui al tono realista si sostituisce un siparietto astratto, un quintetto (“To leave, to break”) in cui i personaggi fondamentali sospendono il tempo narrativo per svelare il loro destino di perdenti. Anche un personaggio collaterale come il vecchio dottore di famiglia, che dovrebbe assicurare varietà e leggerezza al dramma, rivela nei suoi interventi una rassegnazione appena mascherata da un vitalismo velleitario (“I should never been a doctor, Nicholas”). Così come il linguaggio del libretto di Menotti, neppure la sintassi musicale di Barber si azzarda a tentare rotture al passo coi tempi, anche se non manca un orecchio a gesti musicali più arditi, ad esempio in tutta la complessa scena del ballo nel terzo atto. Un respiro più moderno si nota anche nel ritmo di montaggio delle scene, in cui anche i momenti musicali stilizzati (arie, duetti, concertati) fluiscono nel tempo variando nell’intensità dell’espressione, come sequenze cinematografiche che alternino primi piani e campi lunghi. Lo stile di Barber è comunque ammirevole sia nella condotta delle voci sia nell’orchestrazione, e si distingue sopra ogni altra qualità per quel lirismo introspettivo dell’invenzione melodica, che è il tratto forse più caratteristico del compositore americano.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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