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Penthesilea
Opera in un atto Heinrich von Kleist
Musica di Othmar Schoeck 1886-1957
Prima rappresentazione: Dresda, Staatsoper, 8 gennaio 1927

Personaggi
Vocalità
Achilles
Baritono
Diomedes
Tenore
la grande sacerdotessa di Diana
Contralto
Meroe
Mezzosoprano
Penthesilea
Mezzosoprano
Prothoe
Soprano
un messaggero
Baritono
una sacerdotessa
Soprano
Note
Il compositore svizzero Othmar Schoeck, allievo di Max Reger, largamente sconosciuto al di fuori dei confini del suo paese e tuttavia uno dei più interessanti esponenti del Novecento storico, vanta una produzione piuttosto prolifica: nonostante la sua attività di direttore dell’orchestra di San Gallo (1917-1944) ebbe modo di scrivere vari concerti solistici e altre opere sinfoniche, musica da camera nonché molti cicli di Lieder. Particolarmente attratto dal teatro, Schoeck compose otto opere; se non divennero popolari, rimane comunque da sottolineare la costante attenzione alla grande letteratura prestata dal loro autore:Venus(1922) è tratta da Mérimée, la fiabaVom Fischer und seiner Frau(1930) si rifà a Runge,Massimilla Doni(1937) è una trasposizione della nota novella di Balzac, eDas Schloß Dürande(1943) deriva da Eichendorff. ConPenthesilea, composta nel 1924/25, musicando l’incisivo atto unico (1807) del grande drammaturgo tedesco Kleist (1777-1811), Schoeck anticipa Paul Graener e Hans Werner Henze, che, rispettivamente nel 1935 e nel 1960, affrontarono l’ultimo dramma kleistiano, ?Der Prinz von Homburg,mentre la novellaDie Verlobung in San Domingoavrebbe interessato Winfried Zillig (1957) e Werner Egk (Monaco 1963), e la commediaDer zerbrochene Krug(La brocca rotta) sarebbe stata musicata solo nel 1971 da Fritz Geissler, seguita daDas Erdbeben in Chiledi Ján Cikker (1979).

Durante la guerra di Troia, Pentesilea, alla testa delle amazzoni, intervenute a sorpresa contro i greci, affronta Achille; scocca inaspettatamente la scintilla, ma ambedue, fierissimi, vorrebbero l’impossibile: Achille secondo Pentesilea, convinta di averlo battuto, dovrebbe seguirla a Temiscira, mentre lui, il reale vincitore, la vorrebbe al suo fianco, sul trono in patria. Dapprima la sorte delle armi è favorevole ad Achille, poi invece – dopo un agitato intervento della grande sacerdotessa, adirata per via del presunto tradimento della causa delle amazzoni da parte della regina – egli le chiede di acconsentire a un nuovo duello. Confidando nell’amore di Pentesilea, Achille vi si presenta disarmato, mentre lei, esaltata e offesa, ormai più Furia che donna, lo uccide con l’arco; non contenta, affonda i denti nella sua carne. Ritornata in sé, Pentesilea, distrutta, commenta «Amore, orrore [letteralmente: «Küsse, Bisse» – ‘baci, morsi’] fa rima, e chi ama di cuore può scambiare l’uno con l’altro», e quindi si suicida.

Nell’affrontare il testo di Kleist, Schoeck ha seguito il modello di Debussy (Pelléas) e Strauss (Salome), abbreviando e snellendone il dramma, rispettandone però testualmente le parole, le battute salienti a partire dalla ottava scena, eliminando solamente i personaggi di Asteria, Antilochus e Odysseus. Perfetto esempio diLiteraturoper, dunque,Penthesileaè stata collocata più di una volta in area straussiana, forse anche a causa dell’innegabile parentela tra Elektra e Pentesilea, ambedue «metà Furia, metà Grazia», ambedue agli antipodi dell’idea di classicità greca di winckelmanniana memoria («nobile semplicità, quieta grandezza») cara a Goethe, il quale infatti non apprezzò Kleist più di tanto; maPenthesilea, nonostante sia, comeElektra, un atto unico, e abbia in comune con il lavoro di Strauss la derivazione da un mondo sonoro postromantico e il tema della sconvolgente forza di una donna lacerata e scatenata, è un’opera a sé stante. Schoeck impiega un’orchestra assai particolare, in cui la quasi totale assenza di violini (solo quattro, contro numerose viole, violoncelli e contrabbassi), la presenza di due pianoforti (anziché arpe), di ben dieci clarinetti, di quattro trombe (oltre alle tre trombe sul palco) e di un notevole apparato di strumenti a percussione, determina un clima di asprezza che corrisponde ai registri vocali gravi dei due protagonisti, una fuga dalclichéeufonico dellapiècetradizionale. Il duetto ‘d’amore’ (si fa per dire) è stato ampliato solo dopo la ‘prima’, e nel resto dell’opera Schoeck chiede sovente non solo loSprechgesang, ma anche la recitazione pura e l’urlo, sfiorando toni espressionisti: si tratta di una partitura di non eccessiva durata (ottanta minuti), ma di enormi difficoltà esecutive, decisamente ostica, tuttavia – come pure il poema sinfonicoPenthesileadi Hugo Wolf – affascinante in misura uguale all’impegno che va profuso nel suo studio. L’esecuzione in forma di concerto al Festival di Salisburgo del 1982, con Helga Dernesch e Theo Adam, diretta dallo specialista Gerd Albrecht, ha indotto una decina di teatri a riproporla, a distanza di vari anni dai primi successi, promuovendo una sorta di tardiva Schoeck-renaissance, grazie alla quale sono state incise ancheMassimilla Donie molte opere minori, che confermano il rango d’eccezione di questooutsidersvizzero.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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