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Savitri
Chamber opera in un atto proprio, dal Mahabharata
Musica di Gustav Holst 1875-1934
Prima rappresentazione: Londra, London School of Opera, 5 dicembre 1916

Personaggi
Vocalità
la Morte
Basso
Satyavan
Tenore
Savitri
Soprano
Note
Gustav Holst tentò a lungo con tenacia di arrivare al successo in teatro: le sue prime opere furone del genere leggero sul modello di quelle di Gilbert e Sullivan, la coppia più in voga nel teatro musicale inglese di fine secolo; in seguito egli si immerse anima e corpo nel teatro di Wagner, il cui influsso si fuse presto con la sua profonda passione letteraria per la cultura indiana. Il massimo tentativo in questa direzione fu l’opera in tre attiSita, un inverosimile ‘polpettone’ in stile wagneriano che si guadagnò il terzo posto al Premio Ricordi del 1908. La delusione per la mancata vittoria e la maturazione dello stile, che aveva già cominciato a manifestarsi nei successiviHymns from the Rig Veda, indussero il compositore a un profondo ripensamento del suo atteggiamento teatrale. Il sorprendente risultato di questa metamorfosi fu appuntoSavitri, il cui soggetto deriva ancora dal capolavoro della letteratura indù, ilMahabharata. Essendo concepita come opera da camera,Savitrinon solo è di breve durata e di proporzioni veramente ridotte, con tre soli personaggi e l’impiego di non più di una dozzina di esecutori, ma è anche concepita con una economia di mezzi compositivi e una asciuttezza retorica insospettabili in un autore che, solo due anni prima, dispiegava sul palcoscenico tramonti infocati, feroci battaglie e carri alati che spariscono in cielo.

L’episodio adattato da Holst è quello della fedele moglie Savitri, che salva il suo uomo, Satyavan, dal potere della Morte, in virtù della assoluta purezza del suo amore. Savitri, forte della consapevolezza della supremazia della Vita sulla Morte, affronta il potente rivale e lo ricaccia nel suo regno di solitudine. Savitri, commenta la Morte lasciando andare la coppia abbracciata, ha conquistato la vita di Satyavan perché è libera da Maya, cioè da colei che regna sul mondo del desiderio e delle apparenze illusorie, perché «anche la Morte è Maya».

L’aspetto più sorprendente dell’opera è forse il suo inizio: non c’è sipario, e da fuori scena si sente la sola voce della Morte cantare il suo motivo fondamentale (“Savitri, Savitri, I am Deathâ€), costruito su un materiale ritmico-melodico che si attiene al minimo indispensabile, una nota ribattuta e un intervallo di semitono. Sulle parole della Morte si intrecciano, in un raffinato contrappunto, quelle di Savitri (“Again, those words of dreadâ€), senza che una sola nota risuoni ancora in orchestra: quindi un inizio piuttosto fuori dal comune. Tuttavia, lo stile vocale di Holst è ancora decisamente debitore del modello wagneriano, una sorta di declamato lirico continuo, con momenti anche nobili e toccanti, come ad esempio le parole di Savitri quando Satyavan si accascia morente (“I am with thee; my arms are round theeâ€). La scrittura orchestrale sfrutta con grande inventiva le risorse dell’organico limitato, e va segnalata anche la notevole invenzione musicale costituita dal coro di voci femminili fuori scena, la cui eterea sonorità suggerisce il mondo soprannaturale evocato dal nome di Maya.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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