Didone
Dramma per musica in un prologo e tre atti di Gian Francesco Busenello
Musica di Francesco Cavalli
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro San Cassiano, 1641

Personaggi
Vocalità
Acate
Tenore
Amore
Soprano
Anchise
Tenore
Anna
Soprano
Ascanio
Soprano
Cassandra
Soprano
Corebo
Contralto
Creusa
Soprano
Didone
Soprano
Ecuba
Contralto
Enea
Tenore
Eolo
Tenore
Giove
Basso
Giunone
Soprano
Grazia (3)
Soprano
Iarba
Contralto
Ilioneo
Contralto
Iride
Soprano
la Fortuna
Soprano
Mercurio
Contralto
messo (2)
Tenore
Nettuno
Basso
Pirro
Tenore
Sicheo
Tenore
Sinone
Basso
un vecchio
Basso
Venere
Soprano
Note
Soggetto frequentatissimo dal teatro d’opera quello di Didone, e fin dal Seicento trattato nelle forme più disparate. Dopo l’esordio di Busenello e Cavalli – e prima dellaDidone abbandonatadi Metastasio – il mito è messo in musica ovunque: oltre alla versione inglese di Purcell (1689), ecco latragédie en musiquedi Henri Desmarets (Parigi 1693) e quella tedesca di Christoph Graupner (Amburgo 1707). Tutte coinvolte dall’aspetto tragico della vicenda e dal dolore infinito della regina di Cartagine. Non in Italia: da noi l’opera, almeno in questi anni, non può avere finale tragico – le eccezioni a questa regola si contano sulle dita di una mano (e fra queste è proprio un’altraDidone, quella di Andrea Mattioli su libretto di Paolo Moscardini: Bologna 1656). Così Busenello, che non trascura di infarcire i suoi sottili versi filosofeggianti con una larvata critica politica, risolve la vicenda, senza molta convinzione, con un matrimonio fra l’infelice regina e Iarba (una soluzione che avrebbe inorridito Virgilio), con tanto di tentativo di suicidio reciproco, reciprocamente sventato. Ma a parte il finale e la figura di Iarba, che perde presto il senno perché inizialmente rifiutato da Didone (elemento comico già sperimentato nellaFinta pazzadi Strozzi e Sacrati), questaDidonerimane comunque opera di profonda tragicità, certamente la più cupa fra tutte quelle di Cavalli e forse una delle più tormentate di tutto il Seicento. Le poche scene comiche diventano di amaro sarcasmo, e se non fosse per la pazzia di Iarba o un paio di coretti di damigelle l’opera si trasformerebbe in un immenso, disperatissimo e inconsolabile ‘lamento’, qui sperimentato da Cavalli in tutte le sue forme (su tetracordi diatonici e cromatici, in ritmi ternari e binari, con versi piani e sdruccioli): così langue Ascanio partecipe della disperazione del padre; langue Cassandra per l’amato Corebo che le sta morendo fra le braccia; langue Ecuba stanca di vivere di fronte alla disfatta di Troia; langue Enea al ricordo dell’omicidio della moglie Creusa (che poi gli appare in sogno; non rimane escluso nemmeno Iarba che, appena prima di impazzire, si dispera per esser stato rifiutato da Didone; e doppiamente affranta è Didone, prima per la partenza di Enea e poi per aver tradito la memoria del marito Sicheo (“Porgetemi la spada”, il momento più intenso e disperato: III,11). Ma il mito di Didone piace ai veneziani non solo per la componente tragica: ugualmente sensibili sono per quella eroica. Didone – come in genere il viaggio di Enea, e tutte le vicende legate alla guerra di Troia – ricorda infatti alla laguna la sua identità politica repubblicana, perché la Repubblica romana (di cui Venezia si considera diretta discendente) deriva dalla stirpe di Enea esule troiano, ed esuli e perseguitati furono all’inizio gli stessi veneziani.Didonefu la prima opera di Cavalli allestita in epoca moderna (1952), in occasione dei trecentocinquant’anni dalla sua nascita.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi