Joseph
Opera oratoriale in tre atti di Alexandre Duval
Musica di Étienne-Nicholas Méhul 1763-1817
Prima rappresentazione: Parigi, Opéra-Comique, 17 febbraio 1807

Personaggi
Vocalità
Benjamin
Soprano
Jacob
Basso
Joseph
Tenore (haute-contre)
La conteuse
Nephtali
Tenore (haute-contre)
Ruben
Tenore
Siméon
Tenore
un ufficiale della guardia di Joseph
Tenore
Une Jeune Fille
Utobal
Basso
Note
L’opera si avvale di un soggetto che fu ricco di suggestioni per la Francia napoleonica; vi agisce infatti il richiamo di un tema religioso capace di far risuonare corde profonde, dopo un decennio di ateismo conclamato e ormai insopportabile agli occhi dei più. D’altra parte la vicenda biblica di Giuseppe (raccomandata come degna d’attenzione anche da Voltaire) si prestava alla moda dell’esotismo egizio, propagatasi in Francia dopo la campagna militare degli anni 1798-99.Josephè dunque il frutto probabilmente più rilevante di una stagione che impegnò tutti gli operisti parigini (ricordiamo, ad esempio, un altro titolo su soggetto religioso:La Mort d’Adam et son Apothéosedi Lesueur, 1809).

Atto primo. Nel proprio palazzo di Memphis, Joseph, ora ricco e potente sotto il finto nome di Cléophas, lamenta la perdita del padre e della patria. Figlio prediletto di Jacob, è stato venduto come schiavo dai propri fratelli, quindi gettato in prigione con l’accusa di aver sedotto la moglie del faraone, infine liberato come salvatore del regno ed elevato a un rango eccelso nella nuova patria. Giungono da lui i fratelli traditori, spinti dalla carestia che affligge la Palestina: Siméon, in particolare, si sente maledetto da Dio per la sorte da loro riservata a Joseph. Pregano dunque quest’ultimo, senza tuttavia riconoscerlo, perché accordi loro ospitalità; Joseph accetta generosamente e chiede che venga chiamato anche il vecchio padre.

Atto secondo. Di notte, fuori dalle mura di Memphis, Joseph, che sta cercando la tenda di suo padre, incontra Siméon, sconvolto dai sensi di colpa. Dopo che all’alba gli israeliti si sono riuniti per la preghiera, Joseph dapprima vede il fratello Benjamin (divenuto, dopo la sua scomparsa, il prediletto di Jacob), quindi scorge il padre addormentato, e rimane profondamente scosso; dopo il racconto di un sogno, decide finalmente di svelare la propria identità, ma Utobal lo previene con la notizia che il popolo sta preparando un trionfo per il suo benefattore.

Atto terzo. Mentre riceve i fratelli a palazzo, Joseph viene informato che i suoi nemici stanno mettendo in cattiva luce la sua generosità verso gli israeliti; si reca allora dal faraone per difendersi, lasciando così soli i suoi parenti. Siméon narra finalmente a Jacob di come Joseph sia stato venduto da lui e dai fratelli. Ritornato, Joseph chiede al padre pietà per i colpevoli, insieme a Benjamin (l’unico innocente); alla fine rivela chi sia in realtà e perdona i fratelli. Si viene intanto a sapere che il faraone ha premiato la fedeltà di Joseph, e il dramma si conclude con la lode a Dio misericordioso.

Una serie di elementi concomitanti tendono a indirizzare l’opera verso un taglio oratoriale, conforme alla natura biblica del soggetto: anzitutto il massiccio impiego del coro, spesso con interventi all’unisono che costituiscono una risposta compatta, nettamente definita e forse anche un poco rude alle sezioni orchestrali; la deliberata ricostruzione di una ritualità arcaizzante (suggerita dall’ambientazione nell’antico Egitto, cara in quegli anni anche ai circoli massonici) trova proprio nelle masse corali il suo strumento più incisivo. In questo quadro si inserisce il cantico “Dieu d’Israel” (atto secondo), un brano ‘a cappella’ dai gesti di nobile ed evocativa semplicità, che tradiscono un ideale winckelmanniano, esemplare di una cultura comune a David e a Canova: quella autenticità nell’espressione del sentimento religioso che sarà lodata ancora da Weber, che ebbe a dirigere l’opera nel 1817 a Dresda. Di fronte all’imponenza dei brani corali e dei concertati (un analogo predominio si riscontrerà nell’opera biblica di Rossini,Mosè in Egitto), il ruolo dei solisti viene circoscritto a rari interventi davvero significativi; tra questi spiccano l’aria “Champs paternels” e la romanza “A peine au sortir de l’enfance”, entrambe di Joseph, ed entrambe dotate di un tono elegiaco scevro di qualsiasi esibizione virtuosistica. La peculiarità del soggetto si dimostra determinante anche nei riguardi di altre caratteristiche dell’opera, come l’assenza di figure femminili: sembrerebbe che il libretto sia nato proprio da una scommessa di Duval (che in realtà si chiamava Alexandre-Vincent Pineux-Duval), impegnato a sostenere la possibilità, dopo aver visto l’operaOmasis, ou Joseph en Egyptedi Pierre-Marie Baour-Lormian (1806), di porre in scena il soggetto facendo a meno di un intrigo amoroso; Duval effettivamente riuscì nell’intento, sebbene non arrivasse a mettere in versi il libretto, che fu infatti intonato in prosa da Méhul.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi