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Roi de Lahore, Le
Opera in cinque atti e sette quadri di Louis Gallet
Musica di Jules Massenet 1842-1912
Prima rappresentazione: Parigi, Opéra, 27 aprile 1877

Personaggi
Vocalità
Alim
Tenore
Indra
Basso
Kaled
Mezzosoprano
Scindia
Baritono
Sitâ
Soprano
Timour
Basso
Note
La gestazione dell’opera fu piuttosto laboriosa: Massenet iniziò la composizione senza alcun committente nel 1872, riutilizzando in parte titoli precedenti, come l’incompiutaLa Coupe du roi de Thulé. Nel luglio 1876 il lavoro era terminato e, grazie agli auspici dell’editore Georges Hartmann, veniva sottoposto al giudizio del direttore dell’Opéra, Halanzier-Dufresnoy, in un’esecuzione pianistica dello stesso Massenet; l’opera venne accettata subito. Le prove cominciarono in ottobre, e il teatro parigino non lesinò gli sforzi (né lo sfarzo) per una adeguata realizzazione di questo nuovogrand-opéraesotico.

L’amore tra la sacerdotessa del tempio d’Indra Sitâ e un misterioso straniero, che si rivela Alim re di Lahore, è ostacolato dal perfido Scindia, che aspira a impadronirsi del trono. Questi, scoperta la vera identità dell’amante, lo accusa davanti al gran sacerdote Timour, che lo condanna a espiare muovendo guerra ai musulmani. Ma in battaglia, nel deserto di Thôl, Alim viene sconfitto e, ferito gravemente, torna a Lahore con le truppe in rotta solo per morire tra le braccia dell’amata (“Restons unisâ€). L’andamento della trama, per cui l’intero terzo atto si svolge nel paradiso degli indù, permise al compositore di inserire il conseguente corredo di danze orientali, voci celesti, scintillio di gioielli e veli: notevole è qui il valzer per saxofono solo, che causò non pochi problemi di ‘esportazione’ poiché difficilmente le orchestre ne erano allora dotate. Avendo ottenuto di potersi reincarnare in un mendicante e di vivere finché Sitâ resterà in vita, Alim torna a Lahore: appena in tempo per assistere alla grandiosa scena dell’incoronazione dell’usurpatore e alla sua turpe gioia (“Promesse de mon avenirâ€) e per rivelare i suoi delitti davanti a tutto il popolo. Quindi, nell’ultimo atto, i due amanti braccati si rifugiano nel tempio di Indra e lì, dopo aver espresso la sua disperazione in un’aria-prototipo dei grandi monologhi delle eroine massenetiane (“J’ai fui la chambre nuptialeâ€), Sitâ si pugnala, provocando così anche la morte di Alim; a Scindia, ora pentito, non resta che piangerne la tragica fine.

Le Roi de Lahorerappresenta la prima incursione di Massenet nel territorio delgrand-opéra, che non gli fu mai particolarmente congeniale, e segna anche il suo primo grande successo di pubblico, con 57 repliche nell’arco di due anni e una immediata diffusione internazionale. L’opera ebbe una particolare fortuna in Italia, dove venne rappresentata nel 1878 per interessamento di Giulio Ricordi: il suo successo valse a Massenet la commissione diHérodiadeda parte dell’editore. Per le rappresentazioni italiane Massenet inserì alcune varianti, tra cui una grande aria per Sitâ, ribattezzata Nair in questa versione (“Ma non tremar d’orrorâ€). Oggi l’opera è quasi scomparsa dal repertorio, e la notorietà di Massenet è affidata a opere di stampo più intimistico. Più interessato all’introspezione psicologica dei personaggi e allo studio del sentimento amoroso, egli si destreggia con qualche imbarazzo nella magniloquenza e nella grandiosità tipiche delgrand-opéra.Le Roi de Lahoreè comunque un esempio più che dignitoso del genere, con tutti gli ingredienti necessari: l’esotismo, lo sfarzo delle scenografie, i grandiosi finali e le scene di massa, come quella del corteo di Scindia e della sua incoronazione nel quarto atto.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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