Dopo aver passato l’estate 1829 a Roma, Donizetti era tornato a Napoli; nella capitale pontificia, il 29 luglio, la moglie Virginia Vasselli aveva partorito prematuramente il primogenito Filippo Francesco Achille Cristino, che sopravvisse a stento soli tredici giorni (lettera di Donizetti al padre, 20 agosto 1829). A Napoli era impegnato con il librettista Gilardoni nella stesura de
Il diluvio universale(Teatro San Carlo, 6 marzo 1830), a cui teneva molto e per la quale aveva «faticato assai» (al padre, 4 maggio 1830). In quello stesso inverno, sempre su testo di Gilardoni, il musicista preparò l’atto unico
I pazzi per progettoper una serata in suo onore, come era già accaduto con
Le convenienze e inconvenienze teatralinel novembre 1827. Il 6 febbraio al Teatro San Carlo la farsa «riuscì brillantissima: sarà perché son ben veduto – spiega Donizetti – ma io qui tutto ciò che faccio, tutto va bene» (al padre, 13 febbraio).
Privata dei tratti più moraleggianti, la trama derivava da una fortunata commedia di Cosenza, che attingeva direttamente alla farsaUne visite à Bedlam(Parigi 1818) di Scribe e Delestre Poirson, ed era già stata utilizzata nell’opera buffaUna visita a Bedlamdi Benoît Auguste Bertini (Napoli, Teatro del Fondo, 1824). È l’unica opera di Donizetti dedicata al tema della pazzia in chiave esclusivamente comica, e si riallaccia a una tradizione di spettacoli assai popolari nella seconda metà del Settecento inaugurata daL’arcifanfano, re dei mattidi Goldoni (1760). Il manicomio era l’allegoria della pazzia di ogni giorno, in accordo con l’idea di Shakespeare che tutto il mondo è un manicomio.
Anche se lo spettacolo è ambientato in un ospedale psichiatrico, non compaiono personaggi realmente pazzi: i due coniugi protagonisti, Norina e il colonnello Blinval, divisi da tre anni per gli impegni militari del marito, si fingono matti per raggirarsi a vicenda. Norina sospetta l’infedeltà di Blinval e viene consigliata dallo zio Darlemont, direttore del manicomio, di fingersi pazza, per vedere se il marito la ama ancora o no. Blinval dapprima cade nell’inganno, ma poi se ne accorge e ricambia la moglie, fingendosi a sua volta pazzo. I due si confrontano in un duetto, in cui cercano di ingannarsi reciprocamente, tra provocazioni e gelosie. Alla fine, secondo la miglior tradizione comica, i due protagonisti abbandonano ogni finzione e si riconciliano.
Donizetti si muove con sicurezza infallibile sulle tracce di lavori che già lo avevano visto trionfare con successo (L’ajo nell’imbarazzo,Le convenienze,Il giovedì grasso). Il fiuto teatrale con cui si dilettava nel comporre la satira è evidente fin dall’introduzione strumentale; l’idea melodica principale si prolunga nella sortita di Darlemont (“Ma che razza di dottoriâ€) e suggerisce che il direttore del manicomio – è lui che aziona tutta la vicenda, utilizzando gli elementi che gli si parano davanti – in fondo possa corrispondere allo stesso Donizetti. Il fitto intreccio è schizzato con freschezza e il gioco marcato di contrasti, evidente fin dall’anomala distribuzione delle voci (due soprani e cinque bassi), trova ogni occasione per manifestarsi. La cabaletta di Norina (“All’udir che il mio tesoroâ€), scritta per l’agile voce di Luigia Boccabadati, è un evidente omaggio alla cantante, con colorature e accenti di civetteria che l’orchestra commenta con lieve ironia. “Io son pazzo e non son pazzo†di Blinval è una melodia che torna al punto di partenza (tonica-dominante-tonica), proprio come vuole il testo. Finzioni e allusioni culminano con la citazione dallaSemiramidedi Rossini (“Qual mesto gemito da quella tombaâ€, il Largo concertato dal finale del primo atto), che Norina canta «con accento tragico esagerato». Attraverso le giustapposizioni di toni elevati e buffi, le citazioni enfatizzano l’artificiosità della pazzia di Norina. Donizetti utilizza la musica come elemento dinamico per il riavvicinamento tra i due amanti. Scoperta la finzione, Blinvald incontra nuovamente Norina, che sta esercitandosi al pianoforte: con la viola intona il tema di una cabaletta delBarbiere di Siviglia(aria di sostituzione “Ah, se è ver in tal momentoâ€) ed ella lo accompagna. Poi Norina canta accompagnandosi la melodia popolare “Tirsi lontan da Clori†e Blinval aggiunge un goffo contrabbasso obbligato. Dopo il dialogo strumentale, l’incontro tra i due si realizza nel recitativo e si conclude in un duetto secondo le convenzioni dell’opera buffa: il finale (“Donne care qui fra noiâ€) è lo stesso dell’Ajo nell’imbarazzo. L’anno successivo, a Roma, «i fischi raggiunsero le stelle»: la nuova sensibilità romantica verso le tematiche legate alla follia, inaugurata con laNina pazza per amore(Caserta 1789) di Paisiello e lecomédies larmoyantesfecero apparire superata la farsa donizettiana. A Napoli, invece, l’opera restò in cartellone fino al 1845, tanto cheIl ritorno di Pulcinella dagli studi di Padovadi Vincenzo Fioravanti (Napoli 1837), tra le ultime opere ambientate in un manicomio, arrivava a proporre un concertato finale di pazzi che cantano dei sillabati senza senso sull’ouverture dellaSemiramidedi Rossini.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi