Assedio di Calais, L’
Melodramma lirico in tre atti di Salvatore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti 1797-1848
Prima rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 19 novembre 1836

Personaggi
Vocalità
Aurelio
Mezzosoprano
Edmondo
Tenore
Edoardo III, re d'Inghilterra
Basso
Eleonora
Soprano
Eustachio de Saint-Pierre
Baritono
Giovanni d’Aire
Tenore
Isabella
Mezzosoprano
un Incognito
Basso
Note
Nel maggio del 1836 Domenico Barbaja tornò nuovamente a reggere le sorti dei teatri napoletani e Donizetti decise di giocare una carta davvero ambiziosa con il genere, allora nuovo per l’Italia, delgrand-opéra.Un soggetto storico e di ambientazione grandiosa, dominato dal tema dell’amor patrio e con una componente coreografica di tutto rispetto che, opportunamente tradotta e ritoccata, potesse essere riproposta all’Opéra, allora ritenuto il teatro più prestigioso sulla scena internazionale. Contrariamente alle sue abitudini, il compositore chiese ben cinque mesi di tempo. Salvatore Cammarano elaborò un progetto che sottopose a Donizetti e solo in un secondo momento scrisse un abbozzo del libretto in margine al quale il musicista appose le sue annotazioni. L’argomento era basato sull’omonimo dramma di Luigi Marchionni ma in parte anche sul balletto di Luigi Henry, sempre dallo stesso titolo, rappresentato al San Carlo nel 1828 (di qui l’idea di inserire un vero e propriodivertissementnel terzo atto), entrambi ispirati alla tragedia di Dormont BelloyLe Siège de Calais(1822). Unico elemento inconciliabile con la tradizione francese era la parte di musico, cioè di un mezzosopranoen travesti, per Aurelio, alla quale Donizetti si era dovuto piegare suo malgrado, data la carenza di buone voci di tenore al San Carlo; l’intenzione del musicista era però quella di adattare in un secondo momento la parte del protagonista per l’amico tenore Gilbert-Louis Duprez. A dispetto di tanti preparativi Donizetti non riuscì però mai a rappresentare all’Opéra questo suo lavoro.

Atto primo. Calais è assediata dagli inglesi. Aurelio, figlio del borgomastro della città, penetra furtivamente nottetempo nell’accampamento nemico per sottrarre del cibo. Scoperto, riesce a mettersi in salvo. Intanto, all’interno della città, il padre e la moglie attendono in pena il suo ritorno. Infine giunge Aurelio, ma la gioia è breve: Calais ha ormai le ore contate; non resta che lottare sino alla morte. Mentre si organizza l’estrema resistenza giunge l’Incognito, in realtà una spia inglese, che accusa il borgomastro di avere provocato la rovina della città e invita il popolo alla rivolta. Ma il coraggio e la dignità del borgomastro Eustachio, che si presenta disarmato ai nemici, spegne ogni ostilità. La spia è smascherata: poi Eustachio invita tutti a muover guerra agli inglesi e a resistere a tutti i costi (“Come tigri di strage anelanti”).

Atto secondo. Aurelio giace addormentato accanto al figlio mentre la moglie attende il segnale della battaglia; il sonno del giovane è però inquieto e si risveglia presagendo qualche sventura. Mentre tutto è pronto per lo scontro finale, giunge la notizia che il re d’Inghilterra, Edoardo III, intende trattare. Ma la speranza di una soluzione negoziata si infrange quando Edmondo, generale inglese, annuncia che il re perdonerà la città solo in cambio della vita di sei cittadini di nobile nascita. La notizia getta nell’angoscia i presenti ma mentre già si levano le prime voci desiderose di vendetta, Eustachio, comprendendo che si avrebbero solo vittime innocenti, promette quanto chiesto dal re: egli stesso sarà il primo. Dopo un attimo di sconcerto firmano anche Aurelio, Giovanni d’Aire, i due Wissants e Armando, congiunti del borgomastro. Poi, in un’atmosfera di indicibile commozione, i nobili francesi baciano la bandiera e si avviano (“O sacra polve, o suol natio”).

Atto terzo. Nell’accampamento inglese il re pregusta la vittoria. Accolta da ovazioni di giubilo giunge la regina, sorpresa nel vedere Calais ancora in mano francese; Enrico la rassicura, poi, appreso dell’arrivo degli ostaggi, si congeda da lei. Scorgendo Eustachio, Edoardo ha un moto di sorpresa ma subito si rafforza nel proprio desiderio di vendetta. Si ode un clamore: i parenti delle vittime sono giunti a implorare la grazia. Quando la regina Isabella, commossa da tanto strazio, intercede presso il sovrano inglese, questi recede dal proprio proponimento e perdona i nemici.

Molti sono i pregi di questa partitura, nonostante alcune innegabili debolezze. Il terzo atto, per ammissione stessa di Donizetti che intendeva rivederlo, è il meno riuscito, anzitutto per la qualità mediocre delle danze e per la scarsa incisività della musica, che non riesce a conferire verità drammatica a una vicenda singolare e dall’esito un po’ forzato (per le rappresentazioni napoletane del 1837 il terzo atto venne addirittura soppresso e sostituito con un ballo la cui musica non era stata nemmeno scritta da Donizetti). Purtroppo il musicista stesso contribuì ad accentuare questa fragilità scrivendo per l’edizione napoletana un convenzionale rondò conclusivo per Eleonora. Tuttavia, già dall’apertura, l’opera si rivela insolita nel taglio drammaturgico, iniziando con la pantomima del furto di Aurelio nell’accampamento nemico, alla quale solo in un secondo momento segue un vero e proprio coro. Si avverte la cura di Donizetti per un linguaggio conciso e drammatico: la stretta del concertato “Come tigri di strage anelanti” anticipa già chiaramente il linguaggio del primo Verdi. Ancora più riuscita è, sotto questo profilo, la seconda scena dell’atto successivo, dall’inconsueto finale in Adagio in ossequio non più alle regole formali codificate dalla tradizione ma all’urgenza di cogliere l’atmosfera commossa e raccolta dell’episodio del sacrificio dei nobili francesi.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi