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Antigonae
Opera in cinque atti Sofocle
Musica di Carl Orff 1895-1982
Prima rappresentazione: Salisburgo, Felsenreitschule, 9 agosto 1949

Personaggi
Vocalità
Antigonae
Soprano
Creonte
Baritono
Emone
Tenore
Euridice
Soprano
Ismene
Contralto
Tiresia
Tenore
un corifeo
Baritono
un guardiano
Tenore
un messaggero
Basso
Note
Il soggetto del dramma di Sofocle, ripreso da Orff nella traduzione di Hölderlin, si riconnette al tragico epilogo della guerra contro Tebe. Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si sono uccisi in duello; Creonte, re di Tebe, ha severamente proibito di dar sepoltura al corpo di Polinice, reo di aver mosso in armi contro la sua città. Antigone, pure figlia di Edipo, resistendo ai vani tentativi di dissuasione della sorella Ismene, decide di ignorare il divieto; viene però sorpresa dalle sentinelle e condannata da Creonte a essere segregata a vita in una caverna. Emone, figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone, supplica il padre di rivedere la sua decisione; verificata poi l’inutilità dei suoi sforzi si allontana, visibilmente turbato. Giunge l’indovino Tiresia, che vuole narrare al sovrano un sogno premonitore avuto nella notte; solo dopo una caparbia opposizione Creonte si lascia persuadere a liberare Antigone. Quando arriva nei pressi della caverna trova il figlio riverso sul corpo dell’amata suicida; Emone, sdegnando le suppliche del padre, si uccide a sua volta con la propria spada ed Euridice, madre di Emone, apprendendo la catastrofe si pugnala maledicendo Creonte.

All’epoca in cui scrisseAntigonae, suo primo approccio creativo con la tragedia greca (cui seguiranno ancoraOedipus der TyrannePrometheus), Orff rifletteva da tempo sulle modalità da adottare per comporre un’opera su testi teatrali classici. Una rappresentazione in prosa del dramma di Sofocle lo aveva lasciato deluso già nel 1940; d’altra parte era convinto che, dopo il vertice raggiunto da Hofmannsthal e Strauss conElektra, ogni ulteriore contributo a un’interpretazione in chiave moderna della tragedia greca fosse superfluo. Il testo di Hölderlin giunse a mostrargli un sentiero nuovo grazie al quale mantenere in vita il rapporto con la classicità: versi così belli non potevano servire a un recupero neoclassico dell’opera mitologica settecentesca, né si prestavano a venire inseriti nelle maglie del moderno sinfonismo; con il supporto di un’adeguata strumentazione divenivano piuttosto il tramite ideale con cui ridonare alla tragedia greca la sua forza originaria, liberandola dall’involucro delle interpretazioni a posteriori. Scenografia e gestualità vengono ridotte al minimo, lasciando il predominio alla dimensione rituale e ieratica che i panneggi orchestrali enfatizzano; la percezione dell’irrevocabilità del fato rivive nella spigolosità dei ritmi, nell’ostinato ripetersi di incisi, armonie, timbri. A suggerire il senso aristotelico del terrore interviene la sonorità possente dell’orchestra, molto arricchita nelle percussioni e priva di violini e viole, il cui velluto sarebbe qui inappropriato. Il rapporto musica-parola non si fonda sulla corrispondenza degli accenti; anzi, come già in certo Stravinskij, il ritmo musicale tende a imprigionare il flusso verbale, coartandolo in rigide scansioni. E così ogni personaggio, con la sua cadenza innaturale, sembra pietrificato nella cieca volontà da cui sarà condotto alla rovina. L’uso sistematico della declamazione, l’adozione di lamenti melismatici, l’inserimento di cori a cappella rafforzano ulteriormente la tinta arcaica dell’opera, in un autentico tentativo di rinnovare la suggestione e la potenza tragica del mito greco.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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