«Rattoppo a meraviglia le ciabatte/ ma quando mi ci metto/ rattoppo molto meglio il Metastasio», dichiara serenamente il Poeta del teatro ne
Le convenienze ed inconvenienze teatrali. Infatti la scalcinata compagnia della farsa donizettiana tenta di mettere in scena nientemeno che
Romolo ed Ersiliadi Metastasio, e il Poeta ha il compito di ‘ringiovanirne’ il libretto. Non era questa una stravaganza, nel primo Ottocento: i testi metastasiani non hanno mai cessato di ispirare i musicisti, e in particolare nel decennio 1820-30 assistiamo a un rifiorire di Semiramidi, Didoni, Ruggieri, specialmente nei teatri controllati da regnanti attenti a una politica culturale reazionaria (Torino, Modena, Napoli). Metastasio scrisse
Didoneun secolo prima che Mercadante accettasse di intonarne nuovamente i versi, sulle orme di decine di musicisti (gli ultimi, già all’alba dell’Ottocento, erano stati Fioravanti e Paër): un po’ come se oggi Luciano Berio componesse una
Fedorao un’
Adriana Lecouvreurcercando di rispettare il più possibile il libretto originale. Infatti i libretti metastasiani musicati nell’Ottocento sono sì rielaborati, nel senso che presentano duetti, concertati, arie pluripartite, ma i versi di Metastasio sono sempre mantenuti, laddove è possibile. La
Didonemusicata da Mercadante ha quindi la forma di un’opera rossiniana, con l’introduzione (solisti e coro), le cavatine e cabalette di sortita per ognuno dei tre personaggi principali (Didone, Enea, Iarba), i duetti, un concertato interno (il terzetto dell’atto terzo), il finale primo come momento culminante della tensione drammatica, la quale poi si stempera nei tre ‘rondò di bravura’ assegnati ai protagonisti nel secondo atto. Però l’intreccio originale è conservato (gli atti da tre divengono due), i recitativi (quasi sempre semplici) anche, sebbene siano un po’ tagliati. Il testo del finale primo cerca di inanellare il massimo possibile di citazioni testuali metastasiane e i personaggi declamano, un po’ alla rinfusa, i versi più celebri dell’originale, come «Non ha ragione ingrato/ un core abbandonato», «Se resta sul lido», o «Son qual fiume che gonfio d’umori». Insomma, un Metastasio letto al ritmo indiavolato del finale primo dell’
Italiana in Algeri.
Mercadante ha musicato anche altri libretti di Metastasio (Ezio, Torino 1827;Ipermestra, Napoli 1825;Adriano in Siria, Lisbona 1828) e uno addirittura da Apostolo Zeno (Nitocri, Torino 1824): nella prima parte della sua carriera alternava gli impegni ‘reazionari’ alle opere di soggetto più aggiornato. La suaDidoneassomiglia a un’opera non napoletana di Rossini; lo stile è quello belcantistico diSemiramide, la parte di Enea è scritta per un contraltoen travesti, quasi tutti i pezzi sono in tre o quattro sezioni. Nella lunga scena finale della primadonna, un verotour de force, le colorature vertiginose dipingono la disperazione della regina come in una scena di pazzia. È una scelta musicale e drammaturgica diversa dallo scabro finale metastasiano (che prevedeva un semplice recitativo), ma non meno coerente. Il coro che segue riprende implacabile la melodia che aveva aperto l’opera, segno del compiersi di una tragedia annunciata.
Allestita più volte nel primo Ottocento, fra l’altro a Parigi e a Londra, laDidonedi Mercadante è caduta in oblio insieme ad altre opere ‘metastasiane’ dell’epoca, tra le quali sono da ricordare almeno laSemiramide riconosciutadi Meyerbeer (Torino 1819), che pur rappresentando una diversa vicenda ha probabilmente influenzato la struttura drammatica di quella rossiniana, e ilDemetriodi Mayr (Torino 1824), canto del cigno del maestro di Donizetti.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi