Il libretto si deve a Marmontel, già schierato dalla parte di Piccinni e contro Gluck nella virulenta
querelleparigina di pochi anni prima; libretto che peraltro rese un pessimo servizio all’opera (caduta miseramente alla ‘prima’ e presto dimenticata), anche a causa della scarsa dimestichezza con la lingua francese da parte del compositore, da poco giunto a Parigi. La forza della partitura risiede nella scrittura orchestrale, cui Cherubini annette un peso molto maggiore dei suoi compatrioti contemporanei. Haydn e Gluck agiscono come modelli imprescindibili: lo studio delle sinfonie del primo ispira al compositore una serie di pagine strumentali di grande efficacia, come l’ouverture, i balletti e l’introduzione al secondo atto (con una significativa predilezione per la corrusca tonalità di do minore); i grandi esempi teatrali del secondo lo spronano invece verso quell’ideale di opera ‘sinfonica’ che prevede cori fortemente espressivi e insieme monumentali, nonché un massiccio coinvolgimento dell’orchestra, in competizione con le voci. Per queste ultime, Cherubini sfrutta una serie di sfumature intermedie tra il recitativo e l’aria, come l’accompagnato e l’arioso; e anche nelle arie vere e proprie non si avverte più il simmetrico e affabile melodizzare di scuola napoletana, bensì una linea di canto di grande vigore espressivo, più problematica nel suo sviluppo, dall’estensione molto ampia e animata da nuove inquietudini.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi