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Dantons Tod
(La morte di Danton) Opera in due atti e sei quadri proprio e di Boris Blacher, dal dramma di Georg Büchner
Musica di Gottfried von Einem 1918-1996
Prima rappresentazione: Salisburgo, Felsenreitschule, 6 agosto 1947

Personaggi
Vocalità
Camille Desmoulins
Tenore
due becchini
Tenore
Georges Danton
Baritono
Jean Hérault de Séchelles
Tenore
Julie
Mezzosoprano
Lucille
Soprano
Maximilien Robespierre
Tenore
Saint-Just
Basso
Simon
Basso
una dama
Soprano
una popolana
Contralto
Note
InDantons Todnon si saluta solo un esordio teatrale particolarmente felice, tanto da decretare all’autore fama subitanea, ma anche l’inizio della consuetudine salisburghese (mai più abbandonata) di inserire ogni anno nel Festival un’opera contemporanea in ‘prima’ assoluta. Il soggetto di Büchner venne scelto sull’onda emotiva suscitata dal fallito attentato a Hitler nel 1944; ad approntare la versione ridotta fu Boris Blacher, maestro di Einem e futuro dedicatario dell’opera.

Fin dalla prima scena, Desmoulins disapprova il comportamento sanguinario di Robespierre e invita Danton, ormai completamente sfiduciato, a reagire. Nel secondo quadro lo stesso Robespierre placa un tumulto popolare, promettendo giustizia; ma Danton, che ha sentito il tono messianico di questa arringa, gli rimprovera la sua ipocrisia; Robespierre decide di eliminarlo. Mentre si trova in casa di Desmoulins (terzo quadro), viene notificato a Danton l’arresto imminente; Lucille teme per l’amato. Nel quadro successivo il popolo viene aizzato contro Danton e Desmoulins, ormai imprigionati; Lucille, venuta per rivedere Camille, mostra segni di delirio. Di fronte al tribunale (quinto quadro), nella vana speranza di salvare i suoi amici, Danton ritrova l’eloquenza trascinante di un tempo; ma a nulla vale il fervore della sua difesa contro l’impassibilità di chi ha decretato in anticipo la sua condanna. L’ultimo quadro mostra il supplizio, cui il popolo assiste manifestando opinioni discordi; quando la piazza rimane deserta, si scorge Lucille che piange e canta sommessamente presso il patibolo; poi, gridando con forza ‘Vive le roi!’ si fa arrestare a sua volta.

Einem non abbandona l’orientamento tonale, ma sa innervarlo di dissonanze, modellandolo con estrema libertà; le tensioni dei tradizionali rapporti armonici acuiscono i contrasti drammatici e rendono ancor più flessibile il discorso musicale. L’opera esordisce e termina con il marchio tagliente di cinque accordi scagliati infortissimodagli ottoni: uso della dissonanza e scelta del colore orchestrale si combinano fin d’ora per connotare la forza lacerante dei conflitti büchneriani. Einem lascia giganteggiare il popolo, con il suo potere irrazionale e capriccioso: la scrittura corale è tra le più ricche, riuscendo a inglobare sezioni quasi ieratiche, momenti di crescendo emotivo in cui l’intreccio delle parti si fa convulso e apici di frenesia ritmica, che culminano nel grido puro. Anche la vocalità dei solisti si rivela assai duttile: di preferenza si assesta su una declamazione volutamente innaturale, cui improvvisi trasalimenti ritmici danno un carattere angoloso; spesso, però, si inflette a un cantilenare gonfio di mestizia, mai intaccato dal minimo sentimentalismo. Per individuare la fisionomia spirituale di ogni personaggio, Einem si avvale anche di una notevole maestria come orchestratore (gli interludi per i cambi di scena, trascinanti nella loro lucida essenzialità, ne sono la prova più alta); la caratterizzazione psicologica coglie molto bene i registri espressivi di Büchner, soprattutto per Danton, il cui canto virilmente spossato illustra perfettamente l’affermazione pronunciata nel terzo quadro: «Non sono pigro, sono solo stanco». Il tempo narrativo è serrato, di velocità incalzante; anche quando la tensione sembra avere una stasi, si distingue sempre il rintocco lugubre e capillare di qualche ritmo ostinato, che accumula energia in modo quasi inavvertito, sfogandola poi in improvvise fiammate, quasi scatti d’ira; ne è un esempio magistrale la scena del carcere, con le sue emozioni alterne. Nel quinto quadro (scena del tribunale) coro e solisti, carnefici e condannati si fronteggiano e sovrappongono le loro voci, dal freddo salmodiare del giudice all’oratoria sempre più espansa e accalorata di Danton, il tutto nella cornice del tumulto popolare. L’orrore del supplizio (ultima scena) risalta ancor più perché racchiuso fra il canto della Carmagnole e l’arietta sentimentale dei due becchini; e dopo questo trionfo generale del cinismo, il sipario cala sul dolore di Lucille, venuta a cantare presso la ghigliottina una melodia popolare che acquista il sapore di un requiem privato e solitario.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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