Fosca
Melodramma in quattro atti di Antonio Ghislanzoni, dalla novella La festa delle Marie. Storia veneta del secolo X di Luigi Capranica
Musica di Antônio Carlos Gomes 1836-1896
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 16 febbraio 1873

Personaggi
Vocalità
Cambro
Baritono
Delia
Soprano
Fosca
Soprano
Gajolo
Basso
il doge di Venezia
Basso
Michele Giotta
Basso
Paolo
Tenore
Note
L’opera segnò il ritorno di Gomes a Milano, dopo il soggiorno in Brasile. Il suo esito non fu positivo, sebbene Giulio Ricordi confermasse la sua ammirazione per l’autore; solo alla ripresa scaligera del 7 febbraio 1878, in una nuova versione, riscosse finalmente il meritato successo.

Tra Venezia e la costa istriana, alla fine del X secolo. Gajolo progetta con i suoi pirati il rapimento di una ricca sposa nel giorno del suo matrimonio. Fosca è appassionatamente innamorata di Paolo, già catturato dai pirati, ma questi è legato a Delia e rifiuta il suo amore. Quando il padre ottiene la sua libertà in cambio d’un cospicuo riscatto, Fosca piange la partenza dell’amato e Cambro, segretamente innamorato di lei, le promette di riportarglielo se ella vorrà sposarlo; Fosca si adira ma accetta. Arrivato il giorno del rapimento, i pirati si appostano davanti alla chiesa. Solo allora Fosca capisce che gli sposi in pericolo sono Paolo e Delia; tenta allora di bloccarli prima che giungano in chiesa. Nella confusione generale, Gajolo viene arrestato dai soldati veneziani e Paolo viene catturato nuovamente dai pirati, mentre Cambro rapisce Delia (egli spera di diventare il nuovo capo dei pirati e continua il suo intrigo con Fosca). Intanto a Venezia, Gajolo, di fronte ai senatori e al doge, baratta la propria liberazione in cambio del rilascio dei due promessi sposi; viene dunque liberato e giunge nel covo dei pirati nel momento in cui Fosca sta costringendo Delia ad avvelenarsi per salvare la vita a Paolo. Gajolo sventa i suoi piani, libera i due fidanzati, riconquista il comando ed elimina l’infedele Cambro. Fosca allora si avvelena implorando, morente, il perdono di Paolo.

L’opera è, sotto il profilo melodico, meno originale delGuarany, ma più sicura nella tecnica drammaturgica. Il frequente ricorso all’uso di temi ricorrenti le valse l’accusa di wagnerismo e ne provocò il ‘fiasco’, coinvolgendola nellaquerelletra i sostenitori della tradizione nazionale e i wagneriani. In realtà l’uso dei motivi conduttori non ha un valore sinfonico, ma solo melodico; l’opera si avvicina di più al modello delgrand-opéraalla Meyerbeer, caratterizzato dalle scene d’assieme e da grandiosi finali (ad esempio il finale del secondo atto, superato per complessità solo dal finale terzo dell’Otello). La drammaturgia solida e ben supportata dal libretto, che è di buon livello, ricordaI Lituanidi Ponchielli, mentre la costellazione dei personaggi anticipa laGioconda. Tutta l’opera è pervasa da un melodismo ricco d’inventiva; tra i momenti più riusciti ricordiamo l’aria di Fosca “Quale orribile peccato”, di ardente lirismo, e i tre duetti: quello di Fosca e Paolo (“Cara città natia”), sostenuto da un ampio ‘cantabile’ dell’orchestra; quello di Paolo e Delia (“Già troppo al mio supplizio”), delicato e idilliaco, e infine quello di Fosca e Cambro (“Tu lo vedrai negli impeti”), di notevole intensità espressiva. L’opera venne sottoposta a una nuova revisione per la rappresentazione modenese del 1889.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi