Giasone, Il
Dramma per musica in un prologo e tre atti di Giacinto Andrea Cicognini, da Apollonio Rodio
Musica di Francesco Cavalli
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro San Cassiano, 5 gennaio 1649. Prologo: Apollo (S), Amore (S)

Personaggi
Vocalità
Alinda
Soprano
Besso
Basso
Delfa
Contralto
Demo
Tenore
Egeo
Tenore
Eolo
Contralto
Ercole
Basso
Giasone
Contralto
Giove
Basso
Isifile
Soprano
Medea
Soprano
Oreste
Basso
Rosmina
Soprano
Volano
Tenore
Zeffiro
Soprano
Note
Giasoneè forse l’opera più rappresentativa di tutto il Seicento: molto più dei capolavori stessi di Monteverdi (che fu il maestro di Cavalli) che, pur preparando il terreno al nuovo genere, ebbero certamente minore diffusione e popolarità. Tuttavia la fortuna diGiasonee in generale dell’opera in musica di questi anni la si comprende meglio non quale esempio, fra i primi, di opera «mercenaria» (cioè destinata a un pubblico pagante), ma come ultima novità – quasi un nuovo corso – di un genere ormai acquisito e tradizionalmente consolidato: la commedia dell’arte. Le compagnie sono le stesse; semplicemente ora si sono aggiornate, hanno imparato a cantare, o meglio hanno pian piano sostituito i primi attori con primi attori che sanno cantare. Fatto tesoro delle sperimentazioni dotte d’inizio secolo sul recitativo declamato (quelle stimolate dalle teorie della Camerata fiorentina), le hanno innestate sugli scenari che erano soliti rappresentare, senza per questo trascurare danze e canzonette che tanto successo continuavano a ottenere.Giasoneè portato in giro per le varie piazze d’Italia (e non solo) con lo stesso meccanismo che aveva da sempre fatto migrare le compagnie comiche (che ora, come i Febiarmonici, si danno nomi adeguatamente evocativi), lasciando ovunque entusiastica traccia di sé. Impressionanti i suoi numeri: una decina di partiture oggi superstiti (dato incredibile se si pensa che in genere delle opere seicentesche la musica è perduta o al più sopravvissuta in copia unica); una quarantina le edizioni del libretto, e innumerevoli le esecuzioni in tutta Italia testimoniate per quasi mezzo secolo di gloria (anche con nuovi nomi comeIl novello Giasone,Il trionfo d’Amor delle vendette,Medea in Colco). La vicenda raccontata da Cicognini è quasi del tutto indifferente al mito (dove al più Medea incantatrice offre il pretesto per introdurre quelle scene infernali che tanta fortuna avranno in seguito), e la storia, osservata con divina partecipazione da Apollo e Amore, ruota attorno ai propositi matrimoniali di Giasone, tutt’affatto disinteressato a recuperare il suo bravo vello d’oro e invece assai coinvolto in affari amorosi con due fanciulle a cui aveva già regalato un paio di pargoletti a testa: Isifile, la buona, ma ormai un amore passato, e Medea, l’attuale amata, ma donna crudele. Apollo crede nel Fato (o forse ha solo letto Apollonio) e punta su Medea; Amore crede in se stesso e parteggia per Isifile. Perderanno entrambi giacché Giasone, impossibilitato a sposare Medea, si concederà a Isifile (che aveva appena tentato di gettare da un dirupo) in un momento di pietosa debolezza provocato dalla di lei scena(ta) madre: «Sì, tiranno mio, ferisci a parte a parte queste membra aborrite!» non trascurando di ricordargli i figli «per la fame languenti» (dal lamento “Infelice, che ascolto?”). Beffa arguta delle cose celesti, questo finale apparentemente moraleggiante fa il paio con il suo prestigioso modello che Busenello e Monteverdi avevano suggerito nell’Incoronazione di Poppea: anche là Amore, in apparenza vincitore, era gabbato da un Nerone interessato a Poppea solo per capriccio (è noto che il duetto finale è un’aggiunta successiva a esclusiva concessione del pubblico). Ma a parte ciòGiasoneè opera soprattutto di situazioni, dove l’intreccio – questa è la forza del libretto di Cicognini – si organizza a collegare momenti caratteristici. Ecco quelli amorosi (uno per tutti: Giasone che canta “Delizie e contenti”, I,2); ecco quelli comici (palesemente derivati dal repertorio della commedia dell’arte) che ruotano attorno a Demo, gobbo balbuziente (è lui a rimare «strapazzo» con «ca... ca... ca... po»), Delfa, la vecchia nutrice di Medea, o Alina, che cerca instancabilmente veri uomini (e a Besso, spacciatosi per cantante, chiede preoccupata: «Non sei castrato già?»); ecco quelli dolenti (i lamenti di Isifile); ecco quelli infernali (i malefici di Medea con il terrifico coro di spiriti “Le mura si squarcino”, I,14); ecco quelli pastorali, con il duetto fra Medea e Giasone tornato vittorioso dal recupero del vello d’oro (e Besso a parte che commenta: «sulle spalle un monton, la vacca in braccio»); ed ecco ancora tutti gli altritopoidell’opera in musica: la scena del sonno, dove Oreste riesce a rubare un bacio a Isifile; gli equivoci, che fanno confondere Besso carnefice, suo malgrado indotto a sacrificare la vittima sbagliata (poi di fronte a quella vera sancirà: «io solo uccido una regina al dì!»); e, ormai sempre più marginalmente, gli dèi, con Giove che ordina a Eolo e al suo scenografico ‘coro di venti’ di rovesciare la nave di Giasone. Insomma c’è di tutto in quest’opera, ed è tutto ciò che può entusiasmare il pubblico. Cicognini, il più acclamato drammaturgo del momento, si muove nel dramma per musica e la prosa con la stessa disinvoltura con cui passa dal comico alla tragedia sacra. Tanta abilità è già nel singolo libretto dove la trama, in sé meno complessa di quanto potrebbe apparire, è frammentata e riorganizzata al fine di ricavare varietà e continua ricchezza drammaturgica dalla giustapposizione di situazioni contrastanti; soluzione che piaceva assai al pubblico e che diventerà, con i virtuosistici intrecci di Minato, Aureli e Noris, modello del successivo libretto d’opera, almeno fino a Zeno. Cavalli continua a cesellare i suoi recitativi, veri culmini espressivi dell’opera, e più che in passato distribuisce arie e ariette ovunque, complice Cicognini che, più dei contemporanei Busenello e Faustini, tende a distinguere fra recitativo e aria già nella versificazione. L’invenzione musicale di Cavalli non è solo appropriata, è inesauribile, e stupisce la ricchezza d’idee, sempre perfettamente consone all’azione, che alimenta al possibile i mutevoli umori. Ma d’altra parte tanta varietà è d’obbligo: le arie di Cavalli non sono necessariamente il momento atteso e i recitativi (un declamato che non disdegna vocalizzi, momenti lirici o ritmicamente incalzanti) hanno ancora molto da dire. Siamo distanti dalla netta distinzione delle tipologie compositive che dall’ultimo quarto di secolo in poi, con la netta alternanza di recitativo e aria, offriranno una comoda soluzione al rischio di uniformità: Cavalli si muove in altra direzione per coinvolgere il suo pubblico troppo spesso distratto. Tanta sovrabbondanza, almeno fino ad oggi, ha avuto buon gioco nel far liquidare queste opere con l’etichetta di ‘barocche’, quando invece l’eccezionalità di unGiasonerisiede nell’efficacia drammatica della scrittura musicale come nel suo spessore letterario, e ha purtroppo avuto un cattivo alleato nell’uso, tutto seicentesco, di annotare la musica per la scena con una stesura sintetica, che lascia la strumentazione a una ‘regia’ del suono non scritta. Ridurre, come era pratica, tutto l’organico strumentale alla sintesi del solo rigo del basso continuo (limitandosi ad aggiungere altri pentagrammi solo in pochi momenti chiave, o nei ritornelli strumentali) obbliga oggi a una difficile ricostruzione della partitura, spesso radicale (la soluzione rinunciataria di eseguire solo quanto scritto, d’altra parte, oltre a contraddire la prassi dell’epoca, nega le esigenze di spettacolarità – anche sonora – di questi allestimenti e ne appiattisce il risultato complessivo). Parallelamente, l’esigenza di ruoli vocali svolti da cantanti-attori, ovvero da cantanti che sappiano recitare non solo col corpo ma anche con la voce, ha ulteriormente scoraggiato (a parte rarissime eccezioni) un’adeguata restituzione di questi spettacoli – non esente una buona dose di pregiudizio mutuato da sporadici tentativi di allestimenti tanto improvvisati quanto maldestri. La rivalutazione di questo repertorio, in atto da tempo in ambito specialistico, meriterebbe anche dagli operatori teatrali altrettanta attenzione: ma certamente molto è ancora da fare. Manca ad esempio a tutt’oggi un’edizione critica della partitura diGiasone, in cui si tenga debito conto delle modifiche acquisite in seguito ai vari allestimenti.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi