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Gemma di Vergy
Tragedia lirica in due atti di Giovanni Emanuele Bidéra, dalla tragedia di Alessandro Dumas padre Charles VII chez ses grands vassaux
Musica di Gaetano Donizetti 1797-1848
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 26 dicembre 1834

Personaggi
Vocalità
Gemma
Soprano
Guido
Basso
Ida di Gréville
Mezzosoprano
il conte di Vergy
Baritono
Rolando
Basso
Tamas
Tenore
Note
Nella primavera del 1834 Rossini invitò Donizetti a comporre un’opera per il Théâtre Italien nell’inverno successivo. Si realizzava così la maggior aspirazione di quegli anni («L’ho desiderato tanto venire a Parigi...» confessava a Rossini, 22 febbraio 1834), ma nel frattempo la collaborazione con Felice Romani volgeva al termine. Donizetti aveva cercato in tutti i modi di evitarlo, ma il librettista ufficiale della Scala abbandonò quasi completamente la sua attività di ‘poeta per musica’ e assunse in quell’anno la direzione della ‘Gazzetta ufficiale piemontese’. Per impegni importanti come Parigi e l’inaugurazione della nuova stagione scaligera di carnevale – seconda apertura consecutiva, dopoLucrezia Borgia– il compositore ripiegò, suo malgrado, sul «sig. Emanuele Bidéra, italo-greco», che a differenza di Romani approntò con rapidità il libretto. Il soggetto per la Scala fu deciso nemmeno tre mesi prima del debutto (lettera a Carlo Visconti di Modrone, allora responsabile del teatro, 14 ottobre 1834): era una di quelle vicende romanzesche che Donizetti prediligeva, dalle tinte tragiche e accese, ambientata nella Francia di Giovanna d’Arco al tempo della guerra dei Cent’anni.

Gemma è stata ripudiata per sterilità dal conte di Vergy, suo marito, che convola a nuove nozze con Ida: la sua gelosia spinge l’arabo Tamas, giovane schiavo di lei innamorato, a uccidere il consorte. La tragica figura femminile, instabile e di esasperate passioni, domina l’opera e condiziona l’atmosfera generale anche prima del suo ingresso in scena. La parte di eccezionale impegno riservata alla protagonista era stata modellata su misura per Giuseppina Ronzi De Begnis, già prima interprete diFausta,Sancia di Castiglia(1832) eMaria Stuarda(1834). Donizetti la considerava tra i migliori soprani in circolazione: la complessità del personaggio e i continui cambi di umore riservati a Gemma furono interpretati con «talento sommo» per la critica milanese, e senz’altro influirono sulle ventisei repliche scaligere. Già nella lunga scena d’esordio Gemma presenta una esemplare varietà di sentimenti. Alla notizia dell’arrivo del marito la troviamo dolcemente abbandonata e sognante (“Egli riede? Oh lieto istanteâ€), con un caratteristico accompagnamento di arpa sola e misurati interventi di legni e corni. Poco dopo, quando il fratello Guido gli presenta l’atto di divorzio, ella esplode in uno scarno grido, che si smorza in un solo verso («Che lessi? Avvampo e gelo!»). Lo sconcerto per il ripudio si stempera («Oh vergogna, me infelice») in un dolce delirio, di irreale lentezza, mentre gli archi movimentano una inquietudine luminosa con rapide figurazioni d’ornamento. La delicata preghiera “Dio pietoso†che segue si trasforma in immediato furore all’annuncio di un altra moglie per il conte. Quando si introduce nella stanza di Ida con l’intenzione di ucciderla (“Non fuggir che invano il tentiâ€) tratteggia l’imminenza di un accesso di folle gelosia con agilità e acrobazie belcantistiche. Intima violenza psicologica e dolcezza carezzevole sono estremi toccati con grande frequenza e ricchezza di sfumature, splendidamente riassunti nel lungo soliloquio prima del tragico finale (“Eccomi sola alfineâ€). Atteggiamenti incerti e mutevoli caratterizzano anche la figura del conte. Ora è tratteggiato secondo moduli più convenzionali, come nell’invettiva contro Tamas che lo ha appena minacciato (“Tigre uscita dal desertoâ€) o nella festante cabaletta (“Questa soave immagineâ€) in cui si prefigura padre; altrove manifesta accenti più sinceri, spesso con recitativi accompagnati di raffinata fattura. Tamas è il tenore amoroso, dalla natura selvaggia e facile a scatti impetuosi, che carica su di sé il tema della vendetta: è il prototipo del tenore romantico, fiero e aggressivo come sarà Edgardo nellaLucia di Lammermoor. È stata notata la debolezza di alcuni snodi drammaturgici dell’opera, che rendono isolate le vicende sentimentali dei personaggi, e in fondo egoistica la figura di Gemma: la sua mano contro Ida non si ferma per pietoso ravvedimento – come accade ad Anna Bolena per Seymour – ma solo per intervento di Tamas; al giovane arabo peraltro la donna riserva la sua maledizione per l’uccisione finale del conte, e appena si è ucciso viene ignorato da Gemma, che si proclama vittima innocente del destino avverso. Nel secolo scorso l’opera fu assai popolare in Italia e in parte anche all’estero, sia per l’aggancio con certe istanze risorgimentali (come l’ansia di libertà dello schiavo Tamas: a Palermo nel 1848 la primadonna fu costretta ad apparire in scena col tricolore), sia per l’attualità del ruolo di soprano drammatico d’agilità; il suo declino cominciò con l’affermarsi progressivo del soprano drammatico ‘di forza’ di matrice francese. Solo Montserrat Caballé l’ha riproposta con successo al San Carlo di Napoli (1975), e l’anno successivo al Liceu di Barcellona e alla Carnegie Hall di New York. Nel 1987 l’opera è approdata anche al Festival donizettiano di Bergamo.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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