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Karl V
Lavoro scenico con musica in due parti proprio
Musica di Ernst Krenek 1900-1991
Prima rappresentazione: Praga, Nuovo Teatro Tedesco, 22 giugno 1938 (seconda versione: Düsseldorf, Deutsche Oper am Rhein, 1

Personaggi
Vocalità
Alarcon
Recitante
Alba
Recitante
Eleonore
Soprano
Ferdinand
Tenore
Francisco Borgia
Tenore
Frundsberg
Recitante
Henri Mathys
Recitante
Isabella
Soprano
Juan de Regia
Recitante
Juana
Contralto
Karl V
Baritono
Lannoy
Recitante
Note
Dopo l’atto unicoDer Diktator(1928) e il successivoLeben des Orest, Krenek torna ad analizzare una figura di uomo politico, in una sorta di meditazione retrospettiva che passa al setaccio le speranze e gli errori di una vita; accantonati sia il modulo dellaZeitopersia quello neoclassico, l’interesse si concentra su uno spaccato di storia particolarmente nodale per i paesi tedeschi ripercorrendo, attraverso la biografia di Carlo V, le vicende della Riforma. Scritto per l’Opera di Vienna (ma rappresentato anni dopo a Praga) su consiglio di Clemens Krauss,Karl Vè frutto della passione storica di Krenek e del tentativo di conciliare l’attività creativa con le imposizioni dettate dal regime, eludendo in apparenza i temi di attualità. In realtà la riflessione politica dissimula in chiave rinascimentale una serie di interrogativi ben radicati nella contemporaneità; e proprio per dar voce a queste connessioni con il presente Krenek scavalca il fosso dell’atonalità e opta per il linguaggio dodecafonico, che gli pare in quel momento il più valido a garantire unità a una partitura.

Entrato in convento dopo l’abdicazione, Carlo V ripercorre le tappe del suo operato politico narrandole a un padre spirituale: dapprima la ribellione di Lutero, con cui l’imperatore fu forse troppo blando e diplomatico, poi i difficili rapporti con l’infido Francesco I, infine la minaccia dei Turchi, sobillati dallo stesso re di Francia, cui pure Carlo aveva dato in sposa la sorella. Dopo la sciagura del sacco di Roma, Carlo rimase vedovo e la sofferenza personale incominciò a renderlo più sensibile riguardo alle persecuzioni inflitte agli eretici. Nella seconda parte dell’opera, il confessore Juan si mostra sempre più commosso di fronte al dramma del vecchio imperatore, ma il gesuita Borgia lo rimprovera, ricordandogli che l’indecisione di Carlo ebbe come conseguenza l’avvento rovinoso della lega di Smalcalda: l’imperatore riuscì in seguito a imporre ai tedeschi il cattolicesimo a viva forza, ma ormai vacillava in lui definitivamente la fiducia nella sua missione storica e morale: e l’abdicazione segnò irreparabilmente il crollo dei suoi antichi ideali, e insieme la frantumazione dell’impero su cui non tramontava il sole.

Pochi anni prima un altro protagonista di un’opera storica si era trovato faccia a faccia con la propria vita, cercando di discernere a posteriori il bene e il male volontariamente compiuti: Cristoforo Colombo nel lavoro omonimo di Milhaud. Krenek sdoppia Carlo V, rendendolo contemporaneamente soggetto e oggetto dell’azione: da un lato un io che medita e soffre, dall’altro un personaggio storico ormai visto in prospettiva e sottoposto a un’impietosa anatomia spirituale. Dominato dall’ambizione di costituire un impero cattolico, ma insieme roso dal dubbio di infierire a torto sui sudditi abusando del proprio potere, Carlo V non seppe impiegare il ‘pugno di ferro’ e i tentennamenti furono fatali al suo predominio. Mentre il gesuita gli rinfaccia i suoi dubbi e la tiepidezza delle sue decisioni politiche, il confessore Juan comprende poco per volta il valore umano della sofferenza di Carlo: la crisi morale dell’imperatore non trova risposta nemmeno nell’assoluzione, che è un perdono dato al morente, ma non un verdetto credibile sulle reali responsabilità del suo comportamento, lasciato al giudizio dei posteri. Ancora una volta Krenek mette a confronto coscienza e ragion di stato; e l’incertezza che macera il protagonista frange la struttura compositiva in rivoli frammentari, in spezzoni che non giungono a cementarsi fra loro. Il linguaggio dodecafonico, come si è detto, amalgama la partitura, ma viene perseguito più come ausilio formale e linguistico che come imperativo, tanto che spesso gli accordi si ricompongono in relazioni tradizionali e perdono il rigore seriale. L’oggettività della tecnica dodecafonica serve a Krenek per concretare anche nella partitura l’imparzialità freddamente analitica dell’assunto drammaturgico; la vocazione a individuare contrasti si infiltra però anche inKarl Ve fa rivivere le affettazioni della corte francese nella gradevolezza superficiale dei rondò, la crassa irruenza dei lanzinecchi nel passo greve delle marce, il clima di tensione politica nella scena della Dieta di Worms e la partecipazione storica della masse nel grandioso finale corale.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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