Questo fortunato, raffinato, godibilissimo testo goldoniano venne intonato per la prima volta da Galuppi in un anno particolarmente fertile per il compositore, che mise in scena anche
Il mondo alla roversae
Il paese della cuccagna. Goldoni compie, con il consueto garbo e con acuminata intelligenza, una puntuale critica a consuetudini e luoghi comuni della società : all’ignoranza (incarnata da Buonafede), alla falsità , alla superstizione, al potere, prospettando per converso una sorta di mondo ideale retto da un sovrano illuminato. Il testo, ricco di termini scientifici e mitologici, riesce bene a evocare un’atmosfera di serenità ultraterrena, mentre non manca una vena di misoginia tipica del dramma giocoso (qui l’ironia verso le donne viene giustificata in quanto «va con la luna il lor pensiero»). Se la palma dell’intonazione più brillante spetta a Haydn, chi si cimentò più accanitamente sul testo fu Paisiello, che ne musicò a quattro riprese diverse versioni fortemente modificate (solo l’ultima, del 1783, porta il titolo originale, ma è una riduzione a due atti, a opera di Coltellini, della seconda versione, data a Napoli nel 1774 come
Il credulo deluso).
Atto primo. Il finto astronomo Ecclitico, attorniato da un piccolo stuolo di discepoli, convince il credulone Buonafede dello straordinario potere del suo telescopio: quello di distinguere chiaramente scene di vita sulla luna. Buonafede fa la prova e, meravigliato dal successo, ricompensa l’imbroglione. Dietro gli inganni di Ecclitico si cela però il suo amore per Clarice, una delle figlie di Buonafede; l’altra, Flaminia, è innamorata corrisposta di Ernesto, mentre una terza donna, Lisetta, cameriera di Buonafede, è ambita dal servo Cecco. Allo scopo di realizzare i loro progetti matrimoniali, i tre uomini convincono Buonafede a far visita all’imperatore della luna: bevendo un elisir (in realtà un sonnifero), il vecchio crede di essere trasportato, insieme a Ecclitico, sul pianeta.
Atto secondo. Si finge dunque che così sia accaduto (sebbene in verità ci si trovi nel giardino di Ecclitico) e, attraverso una elaborata messa in scena, i diversi personaggi simulano la corte lunare. Felice, Buonafede vede arrivare Lisetta (sulla quale aveva qualche mira matrimoniale) che, con sua grande delusione, viene incoronata imperatrice della luna e va quindi in sposa al finto imperatore: Cecco.
Atto terzo. Sulla luna giungono anche le figlie di Buonafede e il vecchio accorda loro il permesso di sposare Ernesto ed Ecclitico, per scoprire infine di essere stato burlato.
L’intonazione di Galuppi fa perno sulla capacità della musica di illustrare e mettere in scena plasticamente le parole del testo, attribuendo loro un supplemento di comicità , che stravolge ulteriormente situazioni e personaggi dotati già di una caratterizzazione caricaturale; ciò avviene in particolare nei finali primo e secondo, luoghi di sperimentazione formale rispetto alle consuetudini del 1750. Laviscomica si esercita liberamente soprattutto sul personaggio di Buonafede: nel primo atto, di fronte alle meraviglie scoperte con il telescopio, il vecchio si cimenta in una parte melodicamente stravagante, che procede a scatti, confusa e colorita dallo stupore. Secondo le convenzioni dell’epoca, il cavaliere Ernesto, appartenente al registro alto dell’opera seria, è vocalmente un soprano e venne cantato sia da donne che da castrati.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi