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Maria Padilla
Melodramma in tre atti di Gaetano Rossi, dalla tragedia omonima di François Lancelot
Musica di Gaetano Donizetti 1797-1848
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 26 dicembre 1841

Personaggi
Vocalità
Bianca di Francia
Mimo
Don Alfonso di Pardo
Basso
Don Luigi
Tenore
Don Pedro
Baritono
Don Ruiz di Padilla
Tenore
Donna Ines Padilla
Soprano
Donna Maria Padilla
Soprano
Francisca
Mezzosoprano
il duca Ramiro d’Albuquerque
Basso
Note
Scomparso Bellini, Donizetti, grazie anche al trionfo diLucia di Lammermoor(1835), era indubbiamente il principale operista italiano in attività. Dopo la sfortunata e problematicaMaria Stuarda(30 dicembre 1835), per sei anni consecutivi nessuna nuova opera del musicista bergamasco era stata allestita alla Scala. Tale assenza si può spiegare con un’avversione personale di Merelli, che a partire dalla stagione autunnale 1836 era succeduto al duca Carlo Visconti come impresario del teatro milanese; nell’aprile di quell’anno si era inoltre assicurato la gestione del Teatro di Porta Carinzia di Vienna insieme a Carlo Balochino. Eppure Merelli, allievo anch’egli di Mayr, era stato il librettista dell’esordio operistico di Donizetti (Enrico di Borgogna, 1818). Nell’epistolario donizettiano si trovano tracce anche ironiche del difficile rapporto con l’impresario: «Quanto a Milano; dal lato arte, ci canto il requiem, che Merelli non vuole» (al conte Melzi, 26 giugno 1838), «dacché Merelli è impresario a Milano, non ebbi mai la più piccola trattativa» (a Dolci, 27 aprile 1840), «prega il Cielo che il gran Merelli un dì mi scritturerà, poiché dacché egli è impresario, mai diresse a me due righe» (a Pietro Cominazzi, 14 giugno 1840). Tuttavia nell’estate 1840 ci fu un riavvicinamento tra i due, quando il musicista venne a Milano per preparare la ‘prima’ italiana deLa fille du régiment. Nell’ottobre dello stesso anno, a Parigi, Donizetti ricevette l’incarico di scrivere due opere:Maria Padillaper la Scala eLinda di Chamounixper il Teatro di Porta Carinzia di Vienna. Il soggetto fu deciso dallo stesso Donizetti, che delegò la scelta del librettista a Merelli dopo aver constatato l’indisponibilità di Cammarano, impegnato a scrivere per altri musicisti a Napoli. Per le due opere Merelli scelse Gaetano Rossi, decano dei poeti teatrali, già collaboratore di Mayr e Rossini (SemiramideeTancredi) e autore di oltre centoventi libretti. Donizetti partecipò attivamente alla stesura del testo, con precisi suggerimenti circa la struttura drammaturgica dell’azione, in particolare nel lungo duetto padre-figlia che domina il terzo atto.

Lo stesso compositore riassunse la trama al cognato Toto Vasselli (10 ottobre 1841): «Il soggetto qua èMaria Padilla, favorita di Pietro il Crudele di Castiglia. Il libro, come è fatto, è bellissimo. Una ragazza è sedotta da un re, il quale le giura sposarla; ma bisogna che viva per molto tempo come suamaîtresse, e passi per tale in faccia a tutti, mentre essa sola sa di essere legittima sposa. Pel dolore suo padre divien pazzo. Ella strappa dal capo a Bianca di Francia la corona, nel mentre Pietro si rende infedele, e grida: questa corona è mia... eppoi s’uccide. Vedi che sono situazioni!». Di fronte alla perplessità del cognato, Donizetti precisa particolari salienti: «Il soggetto non ti piace? Come? Una ragazza sedotta? Un padre che non regge all’infamia e getta il guanto di sfida alla faccia del re, che è battutto alle verghe, che dal dolore diviene pazzo? Un re, che al momento che è per sposare Bianca di Francia, vede Maria che strappa dalla testa la corona all’altra, che si uccide poi, allorché il re, conoscendo il suo torto, le offre il trono?» (24 ottobre 1841). Sono situazioni che il musicista giudicava «magnifiche» e la musica «bella, bella, arcibella, bellissima, degna di Mercadante e di Bellini» (a Vasselli, 5 novembre 1841). A due settimane dall’esordio, un probabile intervento della censura fece modificare il finale e Maria, anziché suicida, muore per un eccesso di gioia: «Sissignore! Padilla morirà coll’afflusso di sangue, al momento; non canterà, nossignore... E se andrà male, almeno sarò il primo che l’avrò tentato» (a Vasselli, 25 dicembre 1841). Agli occhi di Donizetti appaiono già chiari gli indiscutibili pregi musicali e insieme il limite drammaturgico dell’opera, compromessa dalla scarsa credibilità dell’epilogo.

L’opera venne ripresa a Trieste nel marzo 1842, con un lieto fine suggellato dalla cabaletta di Maria (“Padre tu l’odiâ€): la protagonista viene riconosciuta dal re sua legittima sposa. Veniva così sancita la versione in seguito normalmente eseguita e avallata dallo stesso Donizetti; scelta che non elimina l’incoerenza di un’opera musicalmente impostata per una conclusione tragica. InMaria PadillaDonizetti guarda con sapiente arcaismo, quasi con una punta di nostalgia, allo spagnolismo oleografico delle sue prime opere,Zoraide,AlahoredElvida. Buona parte dell’opera è caratterizzata da generosità melodica e da un rigoglioso belcantismo, con una vocalità inequivocabilmente bravuristica, quasi astratta nel clima di festa ricorrente per i primi due atti. È questo in particolare il caso della cabaletta (“Di pace a noi bell’irideâ€) nell’ampio duetto Maria-Ines (II,1), «il più arduo di una serie che ha il primo modello inTancredi» (Ashbrook) e che valse al maestro due chiamate del pubblico alla ‘prima’ scaligera. Al colorito clima iberico contribuisce uno strumentale lussurreggiante, con nutrita presenza di trombe e ottoni e con una banda sul palcoscenico – dettagliatamente precisata – che viene impiegata più che in qualsiasi altra opera donizettiana. Il festoso coro (“Nella reggia dell’amoreâ€) si avvale di movenze in stile dijota, e un tempo di bolero caratterizza la cabaletta di Ruiz (“Una gioja ancor mi restaâ€). Le tradizionali forme italiane sono arricchite e ampliate con spunti tematici strumentali di rilievo, che aggiungono significato alla psicologia dei personaggi. Maria è il centro musicale ed emotivo dell’opera: il suo impegnativo ruolo vocale fu scritto per il soprano Sofia Loewe, sebbene metà opera fosse stata pensata per Erminia Frezzolini (grande interprete diBeatrice di Tenda), impossibilitata a cantare perché in gravidanza. Nella sua cavatina (“Ah, non sai qual prestigio si celaâ€) il belcantismo è una eccitata prefigurazione della felicità, modellata sullo stile della Frezzolini, che compensava una certa fragilità con la grazia e la leggerezza. Viceversa nel duetto Maria-Pedro, che conclude il primo atto (“Core innocente e giovaneâ€), domina un incedere spianato delle frasi adatto allo stile passionale della Loewe, con improvvisi passaggi al registro più grave, particolarmente imponente nel soprano tedesco. Don Ruiz, padre di Maria, è «la più drammatica delle parti donizettiane per tenore principale» (Ashbrook) e fu scritta per il cinquantunenne Domenico Donzelli, cui è riservata una grande scena di pazzia nel terzo atto: è di grande effetto drammaturgico il canto solitario di Ruiz (“Sento ad ognor estinguersiâ€) intercalato dai brevi commenti delle due figlie, posti su due piani paralleli che non si incontrano se non nella successione formale della musica. L’ispirata melodia è precedentemente intonata dal corno inglese, con tremoli d’archi e sommessi e saltuari arpeggi d’arpa: una dolorosa suggestione che Donizetti intensifica con una supplica a cappella (terzetto Maria, Ines e Luigi). La follia di Ruiz si manifesta tra scatti veementi e improvvisi e l’ossessione delle percosse subite, in contrasto con la supplica estenuata di Maria. Flauto e violoncello accompagnano l’unico momento di contatto tra i due, nel ricordo di una malinconica canzone popolare andalusa (“Della sera la brezza leggeraâ€). Ines, a differenza di Maria, appare una donna semplice e appagata fin dal suo esordio (“Eran già create in cieloâ€); la sua è un’aria tenera, dal ritmo tranquillo e regolare, di ambito melodico contenuto nel registro centrale. La parte di Don Pedro, scritta per Giorgio Ronconi, è quella di un ‘amoroso’ cui Donizetti riserva espressioni estatiche e abbandoni sensuali (“Ah, quello fu per meâ€).

Maria Padillafu data alla Scala per ventiquattro sere consecutive con successo crescente e rimase sui palcoscenici europei per quasi un trentennio, prima di essere eclissata dai grandi successi verdiani iniziati proprio nella stessa stagione scaligera 1841-42 conNabucco. L’opera è stata ripresa nel nostro secolo a Londra solo nel 1973, tardiva riscoperta assieme ad altri melodrammi erroneamente considerati pallide anticipazioni dello stile verdiano: lo stile donizettiano mira infatti alla sintesi, che è cosa differente dalla concisione e dall’impeto senza soste che animerà opere comeNabucco,Ernani,Attila.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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