Riccardo III
Opera in tre atti proprio, da Shakespeare
Musica di Flavio Testi 1923-
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 27 gennaio 1987

Personaggi
Vocalità
Anna
Soprano
Buckingham
Baritono
Catesby
Tenore
Cecilia
Contralto
Dorset
Tenore
Elisabetta
Soprano
Giorgio di Clarence
Baritono
Grey
Tenore
Hastings
Basso
il figlio di Clarence
Soprano
la figlia di Clarence
Soprano
Margherita
Mezzosoprano
re Edoardo IV
Tenore
Riccardo di Gloucester
Tenore
Rivers
Basso
Note
Composta negli anni 1983-86, dopo il discreto successo delle sue opere precedenti (Il furore di Oreste, Bergamo 1956;La Celestina, Firenze 1963;L’albergo dei poveri, Milano 1966;Il sosia, Milano 1981),Riccardo IIIè, secondo quanto afferma il compositore stesso, l’opera sua più impegnativa. Il libretto di Testi è una libera traduzione e un adattamento dalla tragedia shakespeariana, della quale tenta di evidenziare, approfondire e attualizzare il tema di fondo dell’esercizio violento e sordido del potere, come critica nei confronti di una società (quella attuale) che talvolta accetta la violenza come regola di comportamento. Testi infatti è una figura affatto particolare di compositore, che di certa avanguardia musicale italiana del secondo dopoguerra ha condiviso un’idea dell’arte come luogo in cui riflettere una esplicita tensione etico-politica e un dichiarato impegno civile, pur rifiutando di attestarsi su posizioni linguistiche ‘avanzate’ (a suo dire «conformiste»), in favore della sua personale ricerca di ulteriori approfondimenti sul linguaggio tradizionale (laddove per ‘tradizionale’ si intendono qui, tra gli altri, Schönberg, Stravinskij, Bartók e Dallapiccola, ma nessuno di questi in modo esclusivo). Anche il suo teatro musicale, dunque, che peraltro è l’ambito nel quale il musicista fiorentino ha lasciato le tracce più significative della sua vasta produzione, riflette un impianto drammaturgico tradizionale. E seRiccardo IIIdenota una drammaturgia più di situazione che d’azione, quindi non meramente narrativa, ciò è dovuto principalmente alla natura di questa tragedia shakespeariana, tanto che – come ha affermato Virginio Puecher, regista del primo e finora unico allestimento dell’opera – «si può affermare che non siamo in presenza di una ‘storia’ intesa come dipanarsi di avvenimenti collegati tra di loro secondo una logica temporale e spaziale, ma piuttosto di una serie di situazioni in cui l’effetto è già contenuto nella causa che lo produce»: ossia la brama di potere che conduce il personaggio eponimo, figura attorno alla quale l’intera opera si sviluppa, all’accecamento ottuso, alla più totale follia. E molto efficace in senso teatrale si rivela l’idea di rappresentare distintamente il personaggio di Riccardo III nei brani d’insieme e nei monologhi: nei primi cioè come personaggio singolo (interpretato da un tenore), perché tale lo vedono gli altri personaggi che con lui interagiscono; nei secondi come personaggio collettivo (interpretato da un gruppo madrigalistico di cinque voci), al fine di riflettere nell’intreccio polifonico la molteplicità di voci della sua dissociata coscienza. Circostanza, quest’ultima, che ha fornito all’autore l’occasione più propizia per individuare un riferimento anche musicale, il madrigalismo elisabettiano appunto, alla cultura del tempo e del luogo in cui si svolge l’azione.

Quest’ultima rispetta fedelmente il testo shakespeariano, sia pure con qualche omissione, ed è strutturata in tre compositi atti, ciascuno dei quali si presenta come un tutt’uno senza soluzione di continuità, pur palesando al proprio interno il sussistere di ‘numeri’ tradizionali (arie, duetti, terzetti, concertati e via dicendo). Particolarmente accurata è la ricerca di finali d’atto compositi, come tradizione melodrammatica detta, che descrivono i tre momenti culminanti dell’azione: l’uccisione di Clarence, l’incoronazione di Gloucester e la battaglia che segna la sconfitta di quest’ultimo.

Pur se affidata a un’orchestra di ampio organico (legni a tre, ottoni a quattro, un robusto apparato percussivo, arpa, celesta, clavicembalo, pianoforte e archi), la partitura è organizzata in modo da conferire particolare rilievo alle voci. E anche nella vocalità la poetica di Testi denota una prassi compositiva tradizionale: «ho cercato la verità espressiva di quest’opera», ha scritto il compositore, «nello sfruttamento estremo, fino all’estenuazione, di quanto mi veniva ad offrire la parola; sia quando questa non bastava più, nella sua ossessiva ripetizione, sia quando questa non bastava ancora, nelle vocalizzazioni delle sue finali, nella loro dilatazione, nella loro frantumazione fatta di accenti, strette acciaccature, improvvisi sforzati, colpi di gola, quasi a dimostrazione che la bocca non era sufficiente ad esprimere le lacerazioni del dolore, dello strazio, della ripugnanza, dell’odio viscerale».
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi