Serva padrona, La
Intermezzo in due parti di Gennarantonio Federico
Musica di Giovanni Paisiello 1740-1816
Prima rappresentazione: Tsarkoe Selo, 30 agosto [10 settembre] 1781

Personaggi
Vocalità
Serpina
Soprano
Uberto
Basso
Vespone
Mimo
Note
«Per non avere qui né poeta né libri, sono stato costretto di mettere in musicaLa serva padronafatta tanti anni fa dal fu Pergolesi, come lei sa; ed andò in scena il dì trenta dello scorso, con un successo mirabile». Così scrive Paisiello a Ferdinando Galiani nel settembre 1781. La mancanza di libretti («libri») fu uno dei principali problemi affrontati dal musicista durante gli anni trascorsi alla corte di Russia (1176-84). Non si trattava di avere un libretto qualunque; pare che Caterina di Russia si divertisse molto all’opera buffa, ma non amasse passare tanto tempo a teatro. Nella speranza (poi delusa) di farsi mandare da Napoli un libretto di Giambattista Lorenzi, Paisiello detta infatti le sue condizioni (sempre scrivendo a Galiani, che faceva da intermediario): «non deve durare più di un’ora e mezza, e se sarà più breve, si farà più onore». Rispolverando per l’onomastico del granduca Alessandro (allora bambino di quattro anni) il libretto già musicato da Pergolesi nel 1733, Paisiello fece comunque qualche aggiunta: una nuova aria per la protagonista e due duetti che obbedissero al gusto ‘moderno’ dei brani d’insieme, il tutto senza alterare la vicenda. Non sappiamo chi abbia contribuito all’ampliamento per la veste poetica, ma è probabile che si sia fatto ricorso a versi già scritti. In un caso almeno, l’aria “Donne vaghe, i studi nostri”, conosciamo la fonte: leVirtuose ridicoledi Goldoni e Galuppi (II,4; Reggio Emilia 1752). L’eccellente orchestra imperiale sollecitava poi una strumentazione più ricca rispetto ai soli archi di Pergolesi. Nella nuova partitura troviamo infatti un largo impiego di strumenti a fiato (flauti, oboi, clarinetti, fagotti e corni, tutti in coppia), usati tanto per il ‘ripieno’ quanto per i dialoghi concertanti, nei quali Paisiello è maestro. La condotta stilistica è ovviamente diversa da quella del lontano precedente pergolesiano; il segno nervoso di Pergolesi cede il passo a una cantabilità facile e distesa, a un fraseggio più ampio e simmetrico. Lo scarto stilistico è evidente anche nei confronti della prima maniera paisielliana, poiché di fronte al pubblico della corte imperiale il musicista rinuncia a una comicità eccessivamente chiassosa e caricata, a quel carattere «trop napolitain» che gli era stato attribuito da Galiani in una lettera a Madame d’Epanay del 1773. Le baruffe dei due personaggi sono perciò finemente stilizzate; nella figura di Serpina la sensualità prevale sull’aggressività pergolesiana, trovando piena espressione nel brano più esteso dell’opera, la già citata aria (“Donne vaghe”), in forma di rondò: uno dei pezzi dell’opera buffa italiana che maggiormente tradisce la comunanza di linguaggio con Mozart.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi