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Satyagraha
Opera in tre atti proprio e di Constance DeJong, dalla Bhagavadgita
Musica di Philip Glass 1937-
Prima rappresentazione: Rotterdam, Stadsschouwburg Theater, 5 settembre 1980

Personaggi
Vocalità
il principe Arjuna
Baritono
il signore Krishna
Basso
Kasturbai
Contralto
Lev Tolstoj
Recitante
M.K. Gandhi
Tenore
Martin Luther King
Recitante
Miss Schlesen
Soprano
Mr. Kallenbach
Baritono
Mrs. Alexander
Contralto
Mrs. Naidoo
Soprano
Parsi Rustomji
Basso
Rabindranath Tagore
Recitante
Note
Sfondo del percorso immaginifico diSatyagraha, commissionata a Glass nel 1976 da Hans de Roo, direttore della Nederland Opera, sono le vicende del periodo che Mohandas Karamchand Gandhi – allora giovane avvocato – trascorse in Sudafrica dal 1893 al 1913 (ventun anni che Glass sintetizza nell’arco di un’unica giornata, dall’alba alla notte), e che videro la nascita e l’evolversi del movimento omonimo da lui fondato all’inizio del ventesimo secolo, nel quale egli elabora operativamente i fondamenti della sua etica della nonviolenza e della disobbedienza civile (successivamente ripresa dal movimento americano per i diritti civili, animato negli anni Sessanta da Martin Luther King). Lottando per l’abrogazione del cosiddetto ‘Black Act’ – una legge iniqua che imponeva inaccettabili restrizioni agli spostamenti interni della popolazione non europea e che virtualmente relegava la comunità indiana in Sudafrica in una situazione prossima alla schiavitù – Gandhi elaborò il concetto di Satyagraha, che in sanscrito significa ‘forza della verità’. Gandhi combatté le autorità sudafricane sul terreno del Black Act e alla fine vinse – in modo non violento – organizzando scioperi della fame e dimostrazioni pacifiche che culminarono, nel 1913, nella grande ‘Marcia di Newcastle’. Queste vicende sono ‘mostrate’ piuttosto che ‘narrate’ – «sarebbe stato come sfogliare un album di famiglia, passando in rassegna instantanee scattate in un arco di vari anni», afferma Glass. Il libretto della scrittrice Constance DeJong è tratto dal poema religioso indianoBhagavadgita, che il compositore americano ha inteso come testo di commento all’azione (rappresentata per immagini) e che ha scelto di mantenere nell’originale sanscrito, per evidenziarne la sacralità, salvaguardarne il ritmo e il peculiare ‘suono’, che tanto l’affascinava. Il compito di trasmettere il ‘significato’ dell’opera sarebbe stato affidato alla musica, alle scenografie e all’azione scenica.

In ciascuno dei tre atti diSatyagrahacompare una sorta di ‘guardiano’ o testimone spirituale, che osserva dall’alto le vicende terrestri. Nel primo atto il conte Lev Tolstoj (che rappresentò una figura di riferimento per Gandhi nel corso di tutta la sua vita); nel secondo il guardiano è invece il poeta Rabindranath Tagore. «Il simbolo nel terzo atto è Martin Luther King», afferma Glass, «che mi ha sempre colpito come una sorta di Gandhi americano, raggiungendo qui gli stessi risultati, e nella stessa maniera di Gandhi in India. Tolstoj, Tagore e King rappresentano il passato, il presente e il futuro diSatyagraha».

Satyagrahaè un’opera sulla politica e, assieme aEinstein on the BeacheAkhnaten, completa – nelle intenzioni dell’autore – una trilogia di opere ‘ritratto’ sui rispettivi temi della politica, della scienza e della religione, opere in cui le idee musicali «scaturiscono», dice Glass, «dalla mia personale idea del personaggio, piuttosto che dall’azione o dalla storia sviluppata sulla scena». Glass, prima di iniziare a scrivere la musica, forma innanzitutto – dopo l’esperienza cruciale con Bob Wilson – unteamcomposto in questa occasione dalla scrittrice americana Constance DeJong, dal costumista e scenografo Robert Israel e dallight designerRichard Riddell. Il regista – l’inglese David Pountney – subentrò soltanto allorché la musica era già stata terminata da Glass.

Il suono orchestrale diSatyagrahasi basa su quello che era diventato il suono inconfondibile della musica di Glass eseguita dal suoensemble, formato da tastiere elettriche, tre sassofoni con obbligo di flauto, clarinetto basso e una voce di soprano (tutti amplificati): «Nel pensare all’orchestra perSatyagraha, capii che la soluzione stava proprio nel pensare la partitura orchestrale nello stesso modo in cui avevo sempre pensato le partiture per il mioensemble», ignorando le prassi musicali tradizionali. Seguendo questo ‘suono guida’ Glass elabora una partitura che richiede una sezione di legni (tre flauti, tre clarinetti, tre oboi, due fagotti, un clarinetto basso) e una sezione completa di archi (primi e secondi violini, viole, violoncelli e contrabbassi), oltre a un organo elettrico, tralasciando completamente ottoni e percussioni. Glass evita accuratamente di lasciar spazio a parti solistiche, creando un’immagine sonora complessiva che imita, sostanzialmente, quella di un organo elettrico, con tutti gli strumenti all’unisono e con dinamiche esasperate, proprio per ricreare quello che lui stesso definisce «il tipico Phil Glasssound», facendo praticamente scomparire l’orchestra all’interno della musica, che ha una centralità assoluta rispetto all’insieme di possibilità esecutive e timbriche dei singoli strumenti, che Glass ignora deliberatamente. Va anche sottolineata la preponderanza che assume il coro all’interno diSatyagraha, che è sostanzialmente un’opera corale (il coro canta infatti in quattro scene su un totale di sette). Questo anche per conferire una corrispondenza musicale al carattere ‘pubblico’ della vita di Gandhi, che si svolge in mezzo alla folla. ConSatyagraha, inoltre, Glass inizia a usare la voce umana in modo strettamente ‘vocale’, rispettandone la naturale estensione, e sottraendola a quella scrittura di tipo rigorosamente ‘strumentale’ che aveva caratterizzato la musica scritta per lavocalistdel suoensemble. Glass giunge addirittura a enfatizzare il canto a più voci: nell’opera vi sono arie, duetti, trii, quartetti, quintetti e perfino un sestetto (la scena d’apertura – ad esempio – è costituita da un’aria, affidata al personaggio di Gandhi, che si trasforma prima in un duetto, e poi in un trio, il tutto scritto in una maniera non esente da echi verdiani, ricca e altamente declamatoria ed espressiva nello stile).

Mentre inEinstein on the BeachGlass aveva cercato i modi per combinare strutture ritmiche e armoniche, trovando tutta una serie di soluzioni, talvolta di notevole complessità, perSatyagrahasemplifica il suo approccio compositivo, concentrandosi su un’unica soluzione tratta dalla musica barocca – la ciaccona – e utilizzandola sistematicamente in tutte e sette le scene dell’opera. Come modulo di progressione, la ciaccona deriva dalla musica flamenca per chitarra, introdotta in Spagna dai gitani, probabilmente originari dell’India, e viene adottata da Glass in quanto rappresenta una delle «pochissime prassi armoniche condivise dall’Oriente e dall’Occidente, perché l’uso dell’armonia è praticamente inesistente nella musica orientale». Al di là di queste non trascurabili differenze rispetto ai lavori precedenti, il materiale compositivo è – come sempre in Glass – limitato a pochi elementi essenziali e ben riconoscibili, sottoposti a intensivi processi di variazione, estremamente dilatati nel tempo. L’effetto che ne deriva per l’ascoltatore è quello di una iniziale e apparente staticità, destinata a rivelare in breve una interna metamorfosi, che avviluppa la trama musicale rendendola cangiante, mobile e avvolgente, conferendole una indubbia dimensione spaziale basata su semplici geometrie ed evidenti simmetrie, all’interno di un universo inequivocabilmente tonale.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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