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Tre commedie goldoniane
Tre commedie musicali in un atto proprio, da La bottega da caffè, Sior Todero brontolon, Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni
Musica di Gian Francesco Malipiero 1882-1973
Prima rappresentazione: Darmstadt, Hessisches Landestheater, 24 marzo 1926

Personaggi
Vocalità
Beppe
Tenore
camerieri
Mimo
Canocchia
Soprano
Cecilia
Soprano
Checca
Soprano
Desiderio
Baritono
Don Marzio
Baritono
Donna Libera
Mezzosoprano
Donna Pasqua
Mezzosoprano
due birri
Mimo
Eugenio
Tenore
garzone del caffè (3)
Tenore
Gregorio
il barbiere
Tenore
il capo dei birri
Basso
il finto conte Leandro
Baritono
Isidoro
Baritono
Lisaura
Lucietta
Soprano
Marcolina
Soprano
Meneghetto Ramponzoli
Nicoletto
Tenore
Orsetta
Soprano
padron Fortunato
Basso
padron Toni
Basso
Pandolfo
Basso
Pellegrin
Placida
Mezzosoprano
Ridolfo
Tenore
Titta-Nane
Tenore
Todero
Baritono
Toffolo Marmottina
Tenore
Trappola
Baritono
un cameriere della locanda
Baritono
un venditore di pesce
Baritono
Vittoria
Zanetta
Note
La nostalgia di Venezia è la motivazione interiore che Malipiero indica come ispiratrice di questo trittico su testi goldoniani. Si tratta certamente di una nostalgia relativa a una distanza geografica (l’autore, negli anni di composizione delleTre commedie, tra il 1920 e il ‘22, si trovava lontano dalla città, «vagando di albergo in albergo, senza tetto», come scrisse poi in una lettera a Ferdinando Ballo); ma anche di una nostagia irrimediabile, relativa a una distanza cronologica sia dall’ambiente settecentesco, sia da un personale luogo della memoria: «La Venezia della mia infanzia non ritornerà mai più», scrisse il compositore. È così che l’ispirazione goldoniana (per quanto prevedibile in un autore tanto appassionato dell’antica letteratura italiana, anche se di preferenze ancor più remote) non è uno stimolo a sceneggiare fedelmente i testi scelti, bensì uno spunto per riprodurre (come seppe fare Goldoni) e tradurre in suoni l’atmosfera generale di Venezia: «La vita della strada veneziana, nellaBottega da caffè, la vita dell’intimità domestica, nelSior Todero brontolone quella delle lagune, nelleBaruffe chiozzotte». Non c’è nessuna volontà, quindi, di musicare le celebri commedie (i cui testi, tradotti in italiano, accolgono citazioni da commedie diverse), né di collegarsi al realismo goldoniano; nessuna affinità coi settecentismi e ‘venezianismi’ di moda all’epoca (non ultimi iQuatro rusteghidi Wolf-Ferrari); nessuna pittura d’ambiente; nessuna intenzione di fornire credibilità psicologica ai personaggi: «Dei tipi come Don Marzio, Todero e Isidoro, a Venezia se ne sono veduti sino a pochi anni fa». Tipi, appunto, e se Malipiero evita di inserire maschere (un tema a lui caro) in questo contesto, sono proprio i vari Marzio e Todero a essere presentati come maschere tipiche (ma solo adombrate) attorno alle quali si costruisce la vicenda («fantasmi deformati» li definisce Orselli). LeTre commediefurono presentate a Darmstadt: fatto non sorprendente, dato che all’epoca Malipiero suscitava notevoli simpatie in Germania, dove apparvero sulle scene quasi tutte le sue opere teatrali composte negli anni Venti e Trenta e dove la sua musica era vista come un possibile sviluppo delle nuove tendenze, lontano da estremismi. Il trittico, in serata con la ‘prima’ tedesca del ballettoIl convento venezianodi Alfredo Casella, ebbe successo («presso la parte più raffinata e buongustaia del pubblico, almeno» recita una cronaca d’epoca) e la valutazione della critica restò sempre pienamente positiva. Qualche osservazione, forse, desta l’uso insistito del recitativo, dopo che, nelleSette canzoni, Malipiero ne aveva propugnato l’abolizione. Appaiono infatti più recitativi e meno ‘canzoni’, nelleCommedie goldoniane, ma la proposta drammaturgica delleSette canzonidi presentare un seguito di vertici drammatici, senza sviluppi musicali e teatrali, viene anche qui accolta. Infatti, nonostante le risoluzioni delle vicende offerte dalle trame goldoniane, l’impressione generale non è di uno svolgimento coerente, quanto di una successione di concitate scenette (anche qui: vertici drammatici), talmente veloci da apparire irrelate: significativamente il finale della terza commedia ‘non finisce’ e dopo le baruffe risolte, infinite altre potrebbero proporsi allo sguardo di Isidoro. Conclusa ad Asolo nel settembre 1922 (comeSior Todero brontolon),La bottega da caffèè l’unica parte del trittico che rispetti fedelmente l’azione della commedia goldoniana da cui trae spunto.

Atto primo.La bottega da caffè. Dopo l’introduzione orchestrale, la scena presenta un campiello di Venezia su cui si affaccia un caffè. Quattro garzoni cantano e ballano e Don Marzio, seduto a un tavolino, osservando la scena, si informa con Ridolfo (il caffettiere) a riguardo di Lisaura, ballerina amante del conte Leandro. Da una bisca lì vicina esce Eugenio con Pandolfo (il biscazziere) e si fa dare del denaro da Ridolfo per pagare i debiti di gioco col conte. Appare Palcida (moglie di Leandro), travestita da mendicante, ed Eugenio la invita alla locanda. Leandro esce e convince Eugenio a ritentare la fortuna. Pandolfo si siede con Don Marzio e gli confida di avere un nascondiglio segreto per le carte segnate. Eugenio vince al gioco e invita tutti a pranzo, anche una donna mascherata sopraggiunta nel frattempo (è Vittoria, sua moglie), che esita, turbata. Placida riconosce la voce del marito e lo affronta: questi sfodera la spada e la insegue, mentre Eugenio tenta di difenderla. Anche Vittoria si intromette e, scoperta, sviene. Don Marzio si rimette a sedere fuori del caffè e quando arriva il capo dei birri gli rivela l’imbroglio di Pandolfo. Mentre le coppie (Placida-Leandro e Vittoria-Eugenio) si pacificano, i birri arrestano Pandolfo: tutti accusano Don Marzio come spia e lo allontanano.

Atto secondo.Sior Todero brontolon. Nella camera dell’avaro Sior Todero, Nicoletto (figlio del fattore Desiderio) corteggia la cameriera Cecilia con parole altisonanti. Arriva Todero e li scaccia; passa poi a rimproverare Gregorio perché in cucina si fa troppo fuoco (consumando legna in più). Egli progetta le nozze della nipote Zanetta con Nicoletto: in questo modo la dote resterà in casa. Rimasto solo canta una romanza all’amato scrigno, nascosto sotto il letto, che contiene il suo oro. Arriva Marcolina (madre di Zanetta) infuriata per la storia delle nozze. Muta la scena (brano orchestrale), e viene presentata una sala da pranzo con invitati. Si festeggiano Zanetta e Meneghetto con danze, e Marcolina unisce anche la coppia Cecilia-Nicoletto. Todero, sopraggiunto, viene informato che Zanetta è andata sposa, ma senza dote: il vecchio avaro si mostra soddisfatto. Non così Desiderio, che conduce via per un orecchio il figlio Nicoletto che ha sposato Cecilia.

Atto terzo.Le baruffe chiozzotte. Una piazza di Chioggia. Subito si sente il canto amoroso in veneziano di Toffolo, che posa la sua attenzione su Lucietta, fidanzata con Titta-Nane. Le donne presenti lo chiamano usignolo e merlo e lui si offende. Conocchia, venditrice di zucca, propone a gran voce la sua merce, mentre Lucietta accusa di spettegolare Checca, che critica il suo comportamento ‘leggero’ con Toffolo. Dopo un episodio orchestrale, presso le barche una donna e il venditore contrattano vivacemente per un pesce. Intanto padron Toni, tornato dal viaggio, porta regali a moglie e figlia. Checca parlotta con Titta-Nane, Beppe contro Toffolo. Più tardi Beppe affronta Toffolo ed estrae un coltello, mentre sopraggiunge Titta-Nane con uno spiedo: tutti accorrono a fermarli. Arriva Isidoro (rappresentante della giustizia della Serenissima) per condurli tutti in galera, ma le donne lo supplicano: Isidoro promette di perdonarli se tutti faranno pace. I fidanzati si riuniscono e torna l’allegria. Subito passa un gruppo di donne vocianti e poi un altro, sciamando, che litiga per una sedia: si allontanano lasciando la piazza cosparsa di oggetti, mentre Isidoro resta a contemplare la devastazione.

L’ambiente della vivace piazzetta, vero protagonista dellaBottega da caffè, è presentato fin dall’inizio con una scrittura diatonica formata da ostinati che si sovrappongono con festosità leggera, nonostante una certa insistenza nelle iterazioni di accordi o di frammenti per terze (che reinterpretano le atmosfere popolari alla maniera diPetruška, con un genere di scrittura che percorre tutta l’opera). Nei dialoghi prevalgono i recitativi, che costituiscono il ‘cicaleccio’ da cui è percorsa l’opera, mentre l’orchestra presenta brevi e mobilissimi incisi: piccole oscillazioni semitonali o successioni di quinte vuote, oppure la frequente, ‘dispettosa’ discesa di tritoni che è quasi la cifra dello sguardo sornione di Don Marzio, davanti al quale si svolgono le varie vicende. La prevalenza del recitativo è così costante che i rari momenti lirici sono segnalati appositamente dalla dicitura ‘cantando’.

La parte centrale del trittico, a sua volta suddivisa in due parti da un intermezzo orchestrale (che Malipiero chiama ‘sinfonia’), costituisce un momento teatrale più semplice e lineare rispetto all’azione vorticosa delle due parti estreme. La tipizzazione del protagonista è più accurata e ne esce un Sior Todero molto diverso dal prototipo goldoniano: arcigno e accigliato, francamente antipatico, accompagnato da figure pesanti e da timbri gravi fin dall’introduzione, caratterizzata dai colori del clarinetto basso e del controfagotto. A Sior Todero è riservato anche uno dei pochi sfoghi lirici delleTre commedie, ‘la canzone dello scrigno’ di sapore quasi pucciniano (con movimenti per quarte parallele e frammenti pentatonici), che corrisponde a una scena tolta dalVero amicodi Goldoni. La seconda parte, con i suonatori in scena (due violini, violoncello, flauto, oboe, chitarra), presenta subito la vivace sovrapposizione di incisi iterati, che caratterizza anche le musiche di danza fino al Quasi minuetto seguente: un settecentismo stilizzato, con note ribattute e piccoli abbellimenti ma privo di leziosità, tanto da presentare degli echi quasi popolareschi (ad esempio nelle quinte vuote al basso).

La terza parte è la più antica del trittico, essendo stata composta nel 1919-20, circostanza che comunque non determina alcuna eterogeneità stilistica con ciò che precede. Fin dalla festosa introduzione i procedimenti per ostinati sovrapposti, i momenti politonali e l’impiego del recitativo sono infatti affini a quelli delle altre due parti. Anche qui è presente un momento lirico, nella canzone di tono popolaresco di Toffolo Marmottina (su un testo di poesia veneziana del XVI secolo), ma l’aspetto più specifico delleBaruffeè rappresentato forse dalle grida che incarnano la sostanza sonora della vita delle lagune: dalla «Zucca barucca» di Canocchia al richiamo del venditore di pesce, che vocalizza anche un suo ritornello caratteristico, agli strilli delle donne che baruffano. In questa ultima parte delleTre commedieè inoltre molto evidente il carattere marcatamente gestuale di larga parte del teatro malipieriano: ci sono personaggi che pronunciano solo qualche parola (Titta-Nane) e scene risolte solo in senso mimico (quella col pescatore, il tentativo galante di Isidoro con Checca), che richiamano a tecniche ballettistiche, ma anche a un’affinità spirituale con l’opera buffa delle origini. La concitazione dell’azione e il brillante dialogo forniscono una divertente immagine d’assieme:Le baruffe chiozzotte«con la loro irrefrenabile ricchezza immaginosa, resta una delle supreme espressioni del lato comico del genio malipieriano» (Waterhouse).
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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