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Ultimo giorno di Pompei, L’
Melodramma in tre atti di Andrea Leone Tottola
Musica di Giovanni Pacini 1796-1867
Prima rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 19 novembre 1825

Personaggi
Vocalità
Appio Diomede
Tenore
Clodio
Soprano
Fausto
Tenore
gran sacerdote del tempio di Giove
Basso
Menenio
Soprano
Ottavia
Soprano
Pubblio
Tenore
Sallustio
Basso
Note
Dopo i primi successi milanesi e la collaborazione con Rossini perMatilde di Shabran(Roma 1821), Pacini esordì sulle scene partenopee conAlessandro nelle Indie(Teatro San Carlo, 29 settembre 1824), a cui seguirono, nel 1825,AmaziliaeL’ultimo giorno di Pompei. Il successo di queste opere procurò al compositore un contratto col potente impresario Barbaja, che gli affidò per nove anni la direzione dei teatri napoletani, con l’impegno di comporre due nuovi lavori all’anno.

L’ultimo giorno di Pompeiè anteriore al romanzoThe Last Days of Pompeiidi Edward Bulwer-Lytton (Londra 1834, poi ridotto in libretto da Peruzzini e musicato nel 1858 da Petrella come ?Jone), con cui condivide solo l’ambientazione pompeiana, alla vigilia della tremenda eruzione del Vesuvio che distrusse la città nel 79 d.C. Da segnalare, quale prima ripresa moderna dell’opera, l’allestimento per il Festival della Valle d’Itria di Martina Franca (1996).

Atto primo. Sallustio viene eletto primo magistrato; Pubblio e Appio si congratulano con lui, ma il tribuno, in realtà, lo odia in segreto, essendo innamorato di Ottavia. Introdottosi negli appartamenti di lei con la complicità di Fausto, Appio le dichiara il suo amore, ma ella lo caccia sdegnata; livido di rabbia, medita allora vendetta: in combutta con Fausto e Pubblio introdurrà fra le ancelle di Ottavia il giovane Clodio travestito, al fine di disonorare la sposa fedele. I festeggiamenti per Sallustio hanno inizio con l’ascesa del magistrato al tempio di Giove dove, davanti al popolo, giura fedeltà alla giustizia. Terminata la cerimonia, il festante corteo si reca al teatro Grande, ma lungo la via Pubblio si scaglia su Clodio – confuso tra le ancelle di Ottavia – e lo smaschera tra lo sbigottimento generale. Il giovane, mentendo, afferma di avere disonorato Ottavia; Sallustio, incredulo, è costretto a sottoporre a giudizio la moglie, in ossequio al giuramento appena pronunciato al tempio.

Atto secondo. Nella basilica, in cui deve essere celebrato il processo. Ottavia, appartatasi col marito, nega ogni addebito di infedeltà e implora fiducia, ma nella sala il popolo rumoreggia e attende il giudizio. Aperta la seduta, Appio, in qualità di tribuno, accusa Ottavia; Pubblio, come padre ferito, conferma le sue menzogne insieme a Clodio; Ottavia protesta nuovamente la sua innocenza, ma anche una parte delle sue ancelle la tradisce. Improvvisamente si levano tremendi boati dal Vesuvio che Appio, malvagiamente, si affretta a interpretare come un segno dell’assenso celeste alla condanna di Ottavia. Il popolo impaurito incalza, e Sallustio condanna la moglie a essere sepolta viva.

Atto terzo. Accompagnata dal pianto delle ancelle fedeli, Ottavia scende alla tomba; prima di esservi sepolta si rivolge nuovamente al marito, raccomandandogli il figlio. Al momento dell’esecuzione il Vesuvio fa riudire la sua voce tremenda, palesando la contrarietà del cielo a una simile ingiustizia. Sallustio comprende il segno e sospende l’esecuzione; sotto la terribile eruzione tutta la città cade nel panico, il cielo si oscura e la terra trema: Pubblio riesce a confessare la propria colpa al magistrato, prima di essere inghiottito dalla terra con Appio, suo complice. Nel caos generale sopraggiunge Menenio con una biga, riuscendo a trarre in salvo i genitori.

Più estroso e spregiudicato di Mercadante, Pacini seppe adeguarsi ai mutamenti del gusto operistico. Senza nostalgie per i neonapoletani, aderì al nuovo corso impresso da Rossini all’opera buffa, evidenziandovi una predilezione per il bizzarro, l’esotico e il popolaresco; ma anche sul versante serio seppe coniugare tradizione e novità.L’ultimo giorno di Pompeimutuò da Niccolini, direttore della Reale scuola di scenografia partenopea, il gusto per i grandi eventi scenici catastrofici, divenuto poi tipico della drammaturgia delgrand-opéra. La presenza di tre ‘quadri imponenti’, di fatto slegati dallo svolgimento dell’azione (Introduzione, Trionfo, Finale), fu l’aspetto che maggiormente colpì i critici coevi. La partitura, come quella diAmazilia, aderisce pienamente ai modelli rossiniani (si vedano la separazione netta tra recitativi e arie, viste come il centro dell’espressione affettiva, o l’adozione dello stile fiorito, specie nei movimenti lenti), ma esibisce una nervosità drammatica e un pathos del tutto nuovi (in particolare nei lunghi episodi solistici aperti, come l’esemplare duetto di Ottavia e Sallustio “Ah, sposo mioâ€), che fanno presagire il linguaggio che sarà anche del Donizetti della piena maturità.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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