Viaggio, Il
Opera in due atti di Tonino Guerra
Musica di Fabio Vacchi 1949-
Prima rappresentazione: Bologna, Teatro Comunale, 23 gennaio 1990

Personaggi
Vocalità
il prete
Baritono
l’attore
Tenore
Rico
Baritono
Zaira
Mezzosoprano
Note
La trama dell’opera, che è esilissima e si regge sulle delicate intuizioni poetiche dello scrittore e sceneggiatore Tonino Guerra, descrive il viaggio di una coppia di anziani romagnoli – Rico e Zaira sono i loro nomi – da Petrella Guidi, borgo collinare nei pressi del fiume Marecchia ove essi hanno sempre vissuto, fino al mare. È una vecchia promessa che Rico ha fatto a Zaira il giorno delle nozze, infatti, quella di condurla a vedere il mare, quel mare che dista appena trenta chilometri dal loro paese ma che essi non hanno mai veduto. Le cinque scene in cui l’opera è suddivisa – tre nel primo e due nel secondo atto – descrivono altrettante tappe di questo viaggio, che per i due anziani si profila metaforicamente come un itinerario nella loro memoria e nella loro coscienza. La musica di Vacchi rinuncia nelViaggioa quella radicalità avanguardistica che ne caratterizza gli esordi e che ancora era riscontrabile nella sua precedente prova teatraleGirotondo(Firenze 1982), in favore di una ricerca di sonorità più sfumate timbricamente (non a caso, a riguardo di quest’opera, si è parlato di ‘neoimpressionismo’) e più tradizionali nella vocalità, incentrata su inflessioni tipiche della musica popolare. Non di meno la scrittura del compositore bolognese rivela anche qui un trattamento rigoroso dei parametri armonici, poiché in tutta l’opera non c’è battuta che non faccia riferimento a una griglia armonica di base, formata da cinque suoni tra i quali possiedono alta frequenza combinatoria gli intervalli di quarta giusta (tipici della musica popolare) e di seconda minore (cromatici).

Scena prima. Il coro, che qui possiede funzione di narratore, intona un canto polifonico in dialetto e racconta dell’imminente viaggio degli ottantenni Rico e Zaira verso il mare. Entrano in scena anche i due protagonisti, il cui dialogo è accompagnato da un elegante tessuto orchestrale, sul quale si stagliano le sonorità morbide dell’arpa e dei legni.Scena seconda. Dopo una sorta di pantomima, che rappresenta il cammino di Zaira e Rico, accade che quest’ultimo calpesti un vecchio violino rotto, che ricorda a Zaira lo zingaro che un tempo veniva la domenica a Petrella Guidi a suonare, e che forse ora è morto (il materiale musicale di questa scena è desunto da un precedente lavoro cameristico di Vacchi, ilQuintettoper flauto, clarinetto basso, violino, violoncello e arpa. L’uso di un violino con le due corde acute abbassate di una sesta, come suggerisce Enzo Restagno, vuole essere un ‘doppio’ della coscienza di Zaira, una proiezione, scordata appunto, della sua memoria).Scena terza. Rico e Zaira giungono nei pressi di un mulino di pietra abbandonato, dove entrano desiderosi di riposare. Il bianco della polvere di farina evoca in Rico il ricordo di un sogno, in cui tante farfalle bianche si posano ovunque lasciando tutto del colore del latte. L’evocazione del sogno di Rico è affidata al coro. Anche in questo caso il materiale musicale è desunto da un lavoro cameristico, precisamente ilTrioper flauto, fagotto e pianoforte.Scena quarta. Nuova tappa del viaggio dei due vecchi è un chiesa diroccata, presso la quale un prete dispone pane e insalata per richiamare col cibo gli uccelli, affinché ridiano vita alla chiesa. Zaira chiede al prete di essere confessata, poiché il violino calpestato ha destato vivissimo in lei il ricordo del suo unico grande peccato. Quel pomeriggio – racconta mentre Rico è addormentato – il violino dello zingaro fece vibrare il suo corpo e si consumò così il tradimento. Rico, svegliatosi, medita sulla limitatezza umana: quel che resta della sua vita sono solo i piccoli ricordi di cose quotidiane e insignificanti. Musicalmente la scena è suddivisa in tre momenti distinti, ossia gli assoli del prete, di Zaira e di Rico: tre vocalità differenti e differentemente accompagnate dall’orchestra hanno in comune l’adattarsi del disegno melodico a movenze di canto popolare.Scena quinta. Rico e Zaira giungono in un paese in festa, dove un attore mostra il meraviglioso effetto prodotto da uno specchio deformante. La scena ricorda a Zaira il lavatoio del suo paese, nella cui acqua le donne si specchiavano. Quindi, lasciato il paese, Rico e Zaira si ritrovano finalmente al mare, ma un fitto velo di nebbia impedisce loro di vederlo: lo sentono, freddo sotto i loro piedi, ma non lo vedono. Si abbracciano e restano abbracciati nella nebbia, mentre Rico afferma: «Lo giuro, Zaira, che il mare te lo faccio vedere. Lo giuro. Non lo lascio più scappare. Lo tengo sotto i piedi». Anche questa scena è musicalmente tripartita. Il paese in festa è descritto da una serie di citazioni quasi impercettibili di valzer, marce e danze paesane (tra le quali la celebreMazurcadi Migliavacca) sopra cui si insinua la voce tenorile dell’attore. Un coro femminile che canta una specie di «filastrocca delle donne al lavatoio» fornisce a Zaira l’atmosfera sonora del suo ricordo; mentre una lunga melodia di violino solo con sordina introduce alla scena del mare, magistralmente evocata dalla sinuosità del suono orchestrale.

Il viaggiodefinisce un teatro di piccoli gesti simbolici ben misurati, non del tutto insensibile alle lente e ieratiche movenze della tradizione giapponese del teatro Nô. Peccato che l’unico allestimento sinora realizzato dell’opera, ossia quello del suo debutto, fosse impostato in termini prevalentemente realistici, offrendo una chiave di lettura che ha in qualche misura tradito le intenzioni simboliche e poetiche dei due artisti emiliano-romagnoli.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi