Samson et Dalila
Opera in tre atti e quattro quadri di Ferdinand Lemaire
Musica di Camille Saint-Saëns 1835-1921
Prima rappresentazione: Weimar, Teatro granducale, 2 dicembre 1877

Personaggi
Vocalità
Abimélech
Basso
Dalila
Mezzosoprano
filisteo
Tenore
filisteo
Basso
il sommo sacerdote di Dagone
Baritono
Samson
Tenore
un messaggero
Tenore
un vecchio ebreo
Basso
Note
Nel giugno 1870, quando Saint-Saëns si sentì offrire da Liszt la disponibilità del teatro di Weimar, di cui era direttore artistico, per tenere a battesimoSamson et Dalila, egli non pensava ancora, con ogni probabilità, che sarebbe stato così arduo farla rappresentare in patria; gli avvenimenti successivi lo avrebbero smentito. Il pubblico festante del debutto applaudì infattiSamson und Dalila, ovvero la traduzione tedesca dell’opera di Saint-Saëns che aveva finito con l’accettare l’invito, per altro prestigioso, del prodigo Liszt. Tredici anni dovettero passare prima che Samson fosse unito a Dalila dalla più appropriata congiunzioneet; accadde a Rouen il 3 marzo 1890. L’esito senza meno trionfale ripagò il sessantacinquenne compositore delle amarezze passate e segnò l’affermazione definitiva di un’opera la cui storia aveva conosciuto agli inizi momenti travagliati. Quando iniziò la composizione delSamson, nel 1869, Saint-Saëns aveva già scrittoLe Timbre d’argent(1865) e pensava a unopéra-comique,La Princesse Jaune, ma non aveva ancora fatto rappresentare nulla. Il lavoro conobbe un primo intoppo nel 1870, quando un’audizione privata di un brano si risolse in una cocente bocciatura. Cade in questo periodo l’offerta lisztiana che dovette rincuorare Saint-Saëns il quale, ripresa la composizione, la terminava nel 1874. Un’esecuzione in forma di concerto del primo atto, il 12 marzo 1875, non dette esiti molto incoraggianti; né la rappresentazione diLe Timbre d’argent, accolta freddamente all’Opéra nel 1871, giocava a favore di una messa in scena francese delSamsonche, come si è visto, prese la strada felice di Weimar. Concepito inizialmente per un allestimento oratoriale, il soggetto diSamson et Dalilaera stato scelto dallo stesso compositore. Non mancavano illustri precedenti letterari: ilSamson Agonistesdi Milton, ilSamsonscritto da Voltaire per Rameau, né era ignoto a Saint-Saëns ilSamsondel venerato Händel. Verseggiato con cura, il libretto di Lemaire (cui si dice abbia messo mano anche il compositore, che del resto era un fine letterato) sembra risentire nella scansione drammaturgica dell’originaria destinazione oratoriale. Una caratteristica questa che lo accomuna a molti dei testi letterari musicati, in seguito, da Saint-Saëns.

Sulla piazza davanti al tempio di Dagon, nella citta di Gaza. Gli ebrei piangono la schiavitù che li assoggetta ai filistei (“Dieu d’Israel”); Samson li rimprovera di aver perso la fiducia in Dio e si dice pronto a spezzare il giogo che li opprime (“Arrêtez ô mes frères”). Le grida di entusiasmo con cui sono accolte le sue parole fanno intervenire il satrapo di Gaza, Abimélech, il quale schernisce il dio degli israeliti, sordo ai loro lamenti (“Ce Dieu que votre voix implore”). Affrontato da Samson, il satrapo vorrebbe trafiggerlo con la spada, ma l’ebreo gliela strappa di mano e lo uccide. Animato da una forza che sembra sovrumana, Samson mette in fuga i soldati filistei che scortavano Abimélech, indi abbandona la piazza seguito dagli ebrei. Appare sulla soglia del tempio il gran sacerdote. Davanti al cadavere di Abimélech, ordina che Samson e il suo popolo siano sterminati. Un messaggero porta la notizia che gli ebrei, ormai senza freni, stanno devastando il paese. Il gran sacerdote, maledetti i ribelli, parte con i filistei per rifugiarsi sulle montagne (“Maudite à jamais”). Col nuovo giorno la piazza si riempie di ebrei, che elevano un inno di ringraziamento al Signore (“Hymne de joie”). Dal tempio esce uno stuolo di fanciulle filistee, guidate dalla bellissima Dalila; esse lodano la vittoria di Samson (“Voici la printemps”). Dalila corona la fronte dell’eroe e gli svela il proprio amore, invitandolo a raggiungerla nella sua dimora, nella vallata di Sorek (“Printemps qui commence”). Samson è diviso da opposti sentimenti, ma, nonostante gli ammonimenti di un vecchio, decide di raggiungere la donna. Nella sua casa, Dalila attende l’arrivo di Samson e prega Dagon affinchè aiuti il suo proposito di vendicare i filistei (“Amour, viens aider ma faiblesse”). Giunge il gran sacerdote, che le narra i prodigiosi successi di Samson e le offre ricchi doni se riuscirà a consegnargli il temibile eroe. La donna sprezza le offerte; se perderà Samson lo farà soltanto per l’odio che prova per lui e per vendicare il suo popolo. Partito il gran sacerdote, Dalila è assalita dal dubbio di non riuscire a mettere in atto il suo piano, quando ecco arrivare Samson agitato dal desiderio e dal pentimento. Dalila usa tutte le armi della seduzione; l’uomo soggiogato sembra alla sua mercé (“Mon coeur s’ouvre a ta voix”). Su un punto, però, Samson non cede: nel rivelare il segreto della sua potenza. Dalila allora, dopo averlo accusato di non amarla veramente, lo scaccia e si rifugia in casa mentre imperversa un temporale; l’uomo, disperato, la segue. Giungono gli armati del gran sacerdote, che si pongono in agguato nei pressi della casa. Si ode una voce che li chiama: è Dalila, Samson è in suo potere. Nella prigione di Gaza, incatenato, langue Samson. È cieco, privo dei capelli che erano l’origine della sua forza, legato ad una macina. Dalle sue labbra sale un’invocazione a Dio affinchè sottragga al loro destino gli ebrei nuovamente in cattività (“Vois ma misère”). Da lontano si odono le voci degli ebrei, che accusano Samson di averli traditi per amore di una donna. Giungono alcune guardie; devono condurre il prigioniero al tempio di Dagon. Nel tempio si festeggia, con un’orgia sfrenata, la vittoria filistea. L’arrivo di Samson è salutato dallo scherno generale. Il gran sacerdote sfida ironicamente Jehova, il dio degli ebrei: restituisca la forza e la vista a Samson se ne è capace. Eleva quindi un inno a Dagon, unico vero dio, cui si uniscono Dalila e il popolo. Samson invoca allora l’aiuto divino, chiedendo gli restituisca una volta ancora la forza di un tempo. Appoggiatosi a due pilastri del tempio, ritrova per un momento la sua potenza formidabile. Il tempio crolla sotterrando lui e tutti i filistei.

Scrisse Giorgio Vigolo: «La carta da musica che adoperava Saint-Saëns doveva avere in filigrana un organo dalle grosse canne, abbracciato da sinuosi tralci di rose rampicanti e di convolvoli». Ironica e acuta, questa osservazione sintetizza brillantemente le due anime che si agitano inSamson et Dalila. Due anime che corrispondono non solo a un personale orientamento di gusto del compositore, ma, più in generale, a due filoni culturali ben riconoscibili dell’ultimo scorcio dell’Ottocento e poco oltre. Due filoni con un punto di contatto: il recupero del passato, più o meno remoto che fosse. Da un lato vagheggiato e ricreato con scrupolo filologico (Carducci, ilTristanodi Bédier, Schwob); dall’altro, fatto oggetto o pretesto di una reinvenzione poetica il cui lussureggiante scatenarsi scrive pagine memorabili del decadentismo e di altri ‘ismi’ minori: florealismo, ellenismo, esotismo (il Louÿs diAphrodite,Salomedi Wilde e di Moreau, Pierre Loti...) . InSamson et Dalilasembrano riassumersi queste anime, come pure convivono misticismo e sensualità, altra coppia assai ‘gettonata’ di fine Ottocento, in un ossimoro spesso sull’orlo di una impudica sovrapposizione. L’aver armonizzato tematiche così variegate in un’opera di grande compattezza e qualità è un merito notevole di Saint-Saëns, che apparenta l’esperienza diSamson et Dalilaad altre di matrice letteraria, nelle quali filologia e tumultuosa fantasia narrativa si compenetrano ad alto livello (penso aSalammbôeHérodiadedi Flaubert e, in minor misura, aThaïsdi France). Le armi adoperate da Saint-Saëns per l’anima filologica delSamson(‘accademica’ per i detrattori, ‘neoclassica’ per gli entusiasti) sono prima formali che linguistiche. Trionfa in generale un sovrano dominio della forma; in particolare l’uso sistematico della forma chiusa: le tre arie della protagonista ne sono esempio probante. La quasi narcotizzante bellezza melodica che le caratterizza riveste nel primo caso un’aria strofica (“Printemps qui commence”), nel secondo e terzo vere e proprie arie colda capo: con recitativo quella ad apertura del secondo atto (“Amour, viens aider ma faiblesse”), addirittura con ‘pertichino’ (il frastornato Samson) la successiva e celeberrima “Mon coeur s’ouvre à ta voix”. Solidamente costruiti anche gli interventi solistici degli altri personaggi: dalle splendide arie di Abimélech (“Ce Dieu que votre voix implore”) e del sommo sacerdote (“Maudite à jamais”), dai tratti diffusamente arcaizzanti, all’esordio di Samson (“Arrêtez, ô mes frères”) alla sobria, commovente “Vois ma misère”, l’aria di Samson mentre, prigioniero, è legato alla macina. Sul piano di una più articolata architettura formale, esemplare risulta l’ampio brano corale che apre l’opera (“Dieu d’Israel”), animato da tutta una serie di suggestioni illustri, dagli oratori händeliani, alla scena delle tenebre delMosèdi Rossini. Evidente in questo brano, accanto alla prodigiosa solidità di struttura (con l’inserimento, tra l’altro, di una fuga rigorosa “Nous avons vu nos citées renversée”), l’uso di un linguaggio che rimanda costantemente al passato nell’utilizzo del contrappunto, nella scrittura melodica, nella strumentazione. Per quel che riguarda la seconda ‘anima’ diSamson et Dalila, quella esotica e floreale, per intenderci, Saint-Saëns sembra muoversi in sintonia con altri operisti francesi a lui contemporanei: Delibes e Bizet, ad esempio. Da qui il colorismo ora mollemente sensuale del coro di donne filistee nel primo atto (“Voici le printemps”), ora sgargiante, ricco di inflessioni ‘orientali’ del Baccanale nell’atto terzo. Le coordinate sono quelle che hanno reso celebre l’esotismo musicale francese di fine Ottocento: smagliante veste orchestrale, melodismo accattivante, gusto dell’effetto, armonizzazionepiquant. Resterebbe ora da parlare di una terza ‘anima’ delSamsonche ha fatto più sopra fugacemente capolino: quella che si vuol dire ‘neoclassica’. Un’anima che partecipa della natura delle altre due, e in qualche modo storicamente le supera, prendendo le distanze dal passato che recupera, con un atteggiamento di sorprendente modernità. È l’anima che Saint-Saëns libera nel finale dell’opera, dopo aver percorso lungo l’ultimo atto una sorta di cammino iniziatico: dall arcaismo dell’aria iniziale di Samson all’esotismo del baccanale, al neoclassicismo del duetto con coro (“Gloire a Dagon”). Qui il venerando meccanismo del canone all’ottava viene coinvolto in un brano di tale inedita freschezza – ritmica, vocale, strumentale (i brillanti virtuosismi della celesta) – che sembra portare, con la sua beffarda e algida eleganza, già nei pressi di certo Novecento stravinskiano.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi