Gerusalemme liberata, La
Dramma per musica in tre atti di Giulio Cesare Corradi, dal Tasso
Musica di Carlo Pallavicino 1630-1688
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro SS. Giovanni e Paolo, 4 gennaio 1687 (seconda versione: Dresda, marzo 1687)

Personaggi
Vocalità
Argante
Arideno
Armida
Clorinda
Gofredo
Rambaldo
Rinaldo
Tancredi
Ubaldo
Note
È l’ultima opera importante di Pallavicino, l’unica che abbia avuto l’onore di un’edizione moderna (Denkmäler Deutscher Tonkunst, 1916) perché la si credeva scritta per Dresda (e, si sa, i tedeschi hanno sempre saputo valorizzare il loro patrimonio musicale). Fu invece una specie di coproduzione fra Venezia e Dresda, che vide il primo allestimento in Italia e l’esportazione solo nei mesi successivi. Lo scambio culturale veneto-tedesco, che ha il valore simbolico di una cristianissima alleanza contro il pericolo turco da poco scampato, suggestiona anche il soggetto dell’opera. Corradi, altre volte collaboratore di Pallavicino, si rifà a due popolari episodi del poema tassiano: Rinaldo innamorato della maga Armida (dalla quale ha subito un incantesimo) e Tancredi che uccide l’amata Clorinda (la stessa vicenda delCombattimentomonteverdiano). Molto dell’originale è dato per scontato: che il cristiano Tancredi e la saracena Clorinda si amino è aspetto non raccontato. Anzi Clorinda, amata da Argante, sembra a quello preferire i virili giochi di guerra; e Tancredi, l’unica volta che canta le sue emozioni, si rivolge all’amico Rinaldo (“Partirò, ma teco resta/ questo core incatenato”, II,12). Sarà lasciato sottinteso l’amore fra i due, ma così è assai più difficile commuoversi per la morte di Clorinda (che, si sa, in abiti da guerriero non è riconosciuta e viene uccisa da Tancredi). Tancredi avrà di che dispiacersi nelle scene successive (con tanto di visione di lei in sogno che dichiara d’amarlo), ma l’impressione è che sia più turbato dal tragico duello con una donnatout courtche non con l’amata. Assai più efficace invece l’atmosfera magico-infernale che avvolge Armida, con una straordinaria scena in cui tramuta una decina di cavalieri cristiani in altrettanti abitanti della foresta (animali, vegetali e minerali). Ubaldo salverà Rinaldo dalle brame di Armida con l’aiuto di un mago e i furori spettacolari di lei non tarderanno. La vicenda dell’opera termina – un poco accidentalmente così come si era dipanata – con la fine dell’assedio di Gerusalemme e la vittoria dei cristiani comandati da Gofredo di Buglione. La partitura edita raggiunge le sei parti reali (numero insolitamente grande per l’epoca), ma dobbiamo ritenerla accresciuta per Dresda, supponendo la perduta versione veneziana più smilza, come d’uso, e più adatta ai piccoli teatri nostrani. Pallavicino è a volte ricordato per la ricchezza di strumentazione ma, anche sulla scorta di quest’opera, non sembra si discosti da quella che era la pratica coeva (trascurando il numero delle parti). Più interessante il trattamento armonico, che rivela la statura del compositore e la sua capacità di sottolineare i momenti più intensi con soluzioni efficaci, e talora anche ardite. Con sempre meno concertati (due soli i duetti) e sempre più recitativi secchi (fra cui spiccano tre accompagnati), l’opera si è ormai consolidata in una successione di arie e ariette variamente inframezzate da recitativi e brevi ritornelli strumentali, che più ampia libertà lasciano a sostituzioni, aggiunte e soppressioni – ormai imprescindibili da allestimento ad allestimento. Scene e costumi si dovettero a due nomi di prestigio: ripettivamente Ippolito Mazarini e Gasparo Pellizzari.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi