Nel gennaio 1839 Mercadante, compositore affermato e con più di quaranta opere all’attivo, scriveva da Novara (dove era Maestro di cappella) all’amico Florimo di aver combinato con l’impresario del San Carlo di Napoli, Barbaja, una nuova scrittura per l’anno successivo, «senz’obbligo di venire alla piazza», cioè senza l’obbligo di recarsi a Napoli per concertare l’opera. Il compositore era infatti impegnato contemporaneamente con la Fenice di Venezia, per un’altra opera (
La solitaria delle Asturie). «Epoca e cantanti a mia scelta», informava la lettera. La scelta cadde su un soggetto assai noto e ripreso, dopo
La vestalespontiniana del1807, nelle opere omonime di Vincenzo Pucitta e di Giovanni Pacini, la prima composta per Angelica Catalani, rappresentate rispettivamente a Londra nel 1810 e alla Scala nel 1823: entrambe ricalcavano fedelmente il libretto musicato da Spontini. Ritornare a un soggetto neoclassico, in pieno romanticismo, sembra testimoniare un gusto reazionario. L’opera di Mercadante è dunque singolare per la scelta del tema, ma ancor più per il suo svolgimento. Compositore e librettista (Cammarano) sembrano proporsi una sfida: rifare il soggetto classico calandolo in un’atmosfera passionale e radicalmente pessimista rispetto all’equilibrio levigato dell’opera di Spontini. In apparenza la vicenda è sempre la stessa, cambiano solo i nomi: qui la vestale si chiama Emilia, l’innamorato Decio, l’amico di questi Publio. Ma il finale è molto diverso e assistiamo a una vera carneficina: Emilia è sepolta viva, Decio si suicida, Publio muore nel tentativo di salvarli. Non è un finale gratuito: sin dall’inizio dell’opera, sia nel taglio studiato da Cammarano sia nell’intonazione musicale, aleggia un senso di malinconia e di rinuncia all’amore, che sfocia di necessità nello scacco finale.
Le differenze con l’opera di Spontini non si fermano qui. Il libretto ha un taglio drammaturgico particolare: la vicenda è presentata in una prospettiva inedita, di scorcio. La storia della vestale e del suo amante sembra vissuta dal punto di vista degli amici dei protagonisti, quei confidenti presenti in quasi tutti i melodrammi dal Seicento in poi. È un po’ come se laNormavenisse riscritta ‘dalla parte’ dell’insipida Clotilde e dell’anodino Flavio; Cammarano affianca infatti al protagonista un amico soldato (Publio) e alla protagonista un’amica vestale (Giunia), quali ‘doppi’ dei personaggi principali. Egli dilata smisuratamente le funzioni dei personaggi di contorno, facendoli assurgere ad autentici protagonisti. Nello stesso tempo recupera un insieme di situazioni, immagini ed espressioni ben noto in tutto il filone settecentesco di melodrammi basati sul tema dell’amicizia: ad esempio quelli che narrano il legame fra Oreste e Pilade, come le varieIfigenie in Taurideo i variOresteche percorrono l’opera e la tragedia in prosa dalla fine del Seicento al primo Ottocento. Ecco che, in una scena non prevista nell’intreccio dell’opera di Spontini, Giunia cercherà di accusare se stessa del delitto di cui è incolpata Emilia: è la versione al femminile della gara di amicizia tra Oreste e Pilade.
Il taglio dell’opera (certo approvato, se non suggerito, dal compositore) spiega alcune soluzioni formali sorprendenti. Il libretto non prevedenessunaaria solista per Emilia e Decio, ma solo duetti con gli amici o, in un caso, fra loro due. Nel melodramma del primo Ottocento è un’eccezione: pensiamo a un personaggio come Norma senza “Casta diva†o a Lucia senza la cavatina di sortita e la scena della pazzia. Ai duetti è riservato il compito di delineare la dimensione intimista e privata dell’opera, in opposizione a quella pubblica e istituzionale, ridondante nella scena del foro del primo atto, nel finale del primo quadro del secondo atto (l’imponente squarcio solistico-corale iniziato dall’assolo del sacerdote Metello “Versate amare lagrimeâ€, quando la colpa di Emilia viene scoperta) e nel finale dello stesso atto. Un duetto presenta insieme Emilia e Giunia e un duetto chiude il primo atto, quando Publio cerca di trattenere Decio, che vuole rapire Emilia. Anche nei duetti i protagonisti non svettano in primo piano: tutt’altro, quasi sempre le melodie sembrano pensate apposta per essere divise fra due voci complementari, come traduzione di una complementarità esistenziale. Giunia e Publio (gli amici-confidenti) cantano un’aria ciascuno e nell’economia della partitura risaltano più dei ‘veri’ protagonisti (naturalmente le arie sono dedicate a questi). Quando Emilia è dichiarata colpevole di aver lasciato incustodito il fuoco di Vesta, Publio chiede grazia per lei, supplicando il console Licinio (padre di Decio) con l’argomentazione che anche Decio si ucciderebbe sicuramente, una volta morta la vestale (“Se non potrà la vittimaâ€). Quando capisce che Licinio è irremovibile, decide di sistemare tutto con le armi e prorompe in una cabaletta simile a “Di quella pira†(non per niente Cammarano sarà anche il librettista delTrovatore). Anche Giunia, l’amica di Emilia, si esprime in modo toccante, nella sua supplica alla dea affinché l’amica si scordi dell’amore di un uomo, un «amoroso incanto» giudicato «indegno» (“Se fino al cielo ascendereâ€). Dal punto di vista musicale, l’aria di Giunia e la prima parte della scena di Publio costituiscono due momenti di distensione lirica, dimensione espressiva che ai personaggi principali non viene mai concessa. Questi bruciano il loro amore colpevole alla massima velocità drammatica: si pensi alla febbricitante cabaletta di Emilia all’interno del duetto con Giunia e alla sintesi fulminante del duetto di Decio ed Emilia (“No, l’acciar non fu spietatoâ€), oltre che alle frasi disorganiche del breve delirio di Emilia.La vestaledi Mercadante è l’opera dei duetti: lo conferma il fatto che l’ultimo quadro non offre l’occasione per un’aria di Emilia, una di quelle arie finali della prima donna che Donizetti o Bellini non si sarebbero lasciati scappare. Emilia canta il suo straziante addio a Giunia (non a Decio!) in un duetto commosso (“L’ultima volta stringimiâ€). La scelta formale di inserirlo al posto di un’aria varia di proposito una convenzione consolidata (l’aria della prima donna), però la mestizia accorata del duetto sottolinea anche l’assunto più generale della rilettura offerta da Cammarano e Mercadante: la loroVestaleè l’opera della rassegnazione, della rinuncia, dell’impossibilità di vivere amore e amicizia. La scena del suicidio di Decio è rapida ed essenziale come quella dell’Otellorossiniano, ma l’opera potrebbe anche terminare con le ultime battute del duetto femminile: il succo dell’opera e la morale della vicenda sono in questo composto e rassegnato finale ‘di donne’, e nello scacco a cui è votato l’amore negativo (perché è solo «amoroso incanto») fra Decio ed Emilia.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi