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Rusalka
Favola lirica in tre atti di Jaroslav Kvapil
Musica di Antonín Dvorák 1841-1904
Prima rappresentazione: Praga, Teatro Nazionale, 31 marzo 1901

Personaggi
Vocalità
Hajny, guardia forestale
Baritono
Jezibaba
Contralto
la duchessa straniera
Mezzosoprano
lo Sguattero
Mezzosoprano
prima fata
Soprano
Princ
Tenore
Rusalka
Soprano
seconda fata
Soprano
terza fata
Contralto
un cacciatore
Baritono
Vodník
Basso
Note
Subito dopo il buon successo dell’opera Il diavolo e Caterina, Dvorák cercò immediatamente un nuovo testo da musicare. Grazie al direttore del Teatro Nazionale, Frantisek Subert, il compositore conobbe un lavoro del giovane scrittore Jaroslav Kvapil, in seguito una figura importante del teatro boemo. Dvorák trovò congeniale il libretto, che era stato in precedenza offerto senza successo ad altri musicisti. Anche Rusalka rimaneva nell’ambito del racconto fiabesco, nel mondo della natura incantata particolarmente caro alla sensibilità di Dvorák, che vi si era ispirato per vari altri lavori, e in particolare per il gruppo di poemi sinfonici tratti dalle ballate popolari di Erben (1896), tra cui ve n’è uno intitolato appunto Vodník (Spirito delle acque). In Rusalka il fiabesco è di carattere sentimentale e simbolico, anziché comico e fantastico come nell’opera immediatamente precedente, Il diavolo e Caterina. Kvapil si ispirò al tema della creatura acquatica che prende natura umana per amore pagandone le conseguenze: un antico motivo della letteratura nordica ripreso con ampiezza dal romanticismo, di cui sono esempi ben noti la novella Undine dell’ugonotto tedesco Friedrich de La Motte-Fouqué e la Sirenetta di Hans Christian Andersen; il poeta vi aggiunse inoltre altri elementi eterogenei, in particolare legati al folklore popolare boemo. Dvorák completò tra l’aprile e il novembre 1900 la partitura, che è diventata col tempo, assieme allaSposa vendutadi Smetana, il maggiore classico del teatro boemo.

Atto primo. Nel cuore del bosco, di notte, alcune fate danzano e giocano (“Hou, hou, hou”) sulla riva del lago con lo Spirito dell’acqua. La ninfa Rusalka, che si strugge d’amore per un giovane uomo solito bagnarsi in quelle stesse acque, cerca dal padre un conforto alla sua malinconia. Lo Spirito tenta in ogni modo di dissuaderla da un amore impossibile, ma Rusalka è decisa a ogni costo ad assumere fattezze umane. Vista l’inutilità di qualsiasi obiezione, lo Spirito le indica la capanna della strega, l’unica in grado di aiutarla. Prima di compiere il fatidico passo, Rusalka si rivolge alla luna affinché la sua decisione non allontani da lei l’affetto dello Spirito (“Mesícku na nebi hlubokém”). La vecchia accetta di compiere la trasformazione, ma la avverte che non sarà indolore: quando diverrà un essere umano, resterà completamente muta. E non basta: se dovesse far ritorno dal mondo degli uomini, Rusalka sarà maledetta e condannata a uccidere il suo amato. Rusalka è disposta a tutto, e la strega prepara il filtro (“Tedy pojd’, honem pojd’”). All’alba, preceduto dalla canzone di un cacciatore (“Jel mlady lovec, jel a jel”), avviene il sospirato incontro. Il principe, tale era lo sconosciuto, si innamora a prima vista della bellezza silenziosa della ragazza (“Vidino divná, presladká), e la conduce con sé al castello per sposarla.

Atto secondo. Mentre al castello si preparano le nozze, il guardiacaccia e uno sguattero chiaccherano degli ultimi avvenimenti (“Járku, járku, klouce milé”). La strana promessa sposa preoccupa gli abitanti, e si dice che il principe si sia già invaghito della bella duchessa arrivata con gli ospiti. Pretesa non vana, perché in effetti l’ardore del principe per la bellezza dell’enigmatica Rusalka è alquanto scemato al confronto con la umanissima passionalità della duchessa, decisa a strapparlo alla muta rivale. Allo sguardo paterno dello Spirito non sfugge l’infelice situazione di Rusalka (“Stokrát bys byla clovekem”), che cerca ancora da lui conforto nella amara delusione che le appare inevitabile. Mentre gli altri due giovani vanno proprio in giardino a confessarsi i loro sentimenti, suscitando la sdegnata reazione dello Spirito, che minaccia il principe a causa del suo tradimento. Sprezzante, la duchessa lascia il principe, svenuto, al suo oscuro destino.

Atto terzo. Nella luce declinante della sera, la pallida Rusalka torna al lago del bosco, disperata, per chiedere di nuovo aiuto alla strega (“Mladosti své pozbavena”). Il sangue del principe potrebbe riscattare la maledizione, ma piuttosto Rusalka preferisce accettare la solitudine e rifiuta il coltello che le porge Jezibaba. Non appena Rusalka scompare tra le onde, arrivano lo sguattero e il guardiacaccia. Anche loro vorrebbero l’aiuto della strega per smagare il padrone malato d’amore, ma fuggono terrorizzati dallo Spirito che, imprecando contro il genere umano, giura vendetta. Le fate tornano per giocare con lo Spirito (“Mám, zlaté vlásky mám”), ma egli è in pena per Rusalka, scacciata dalle sorelle d’acqua. È il momento del grande duetto d’amore. Il principe torna alle rive dove ha incontrato la bella ninfa, la cui anima perduta ora gli appare rimproverandogli dolcemente il suo tradimento (“Milácku, znás mne, znás?”). Il principe implora il suo perdono, e le chiede di dargli la pace che non ha più trovato da quando l’ha scacciata. Ella lo avverte che il suo bacio è mortale, ma il principe non chiede altro che di morire tra le sue braccia, per non separarsi mai più da lei. L’amaro commento dello Spirito al tragico epilogo è racchiuso nel suo interrogativo, senza risposta, sul senso del doloroso sacrificio della sua compassionevole figliola.

La prima ragione che rende quest’opera gradevole e resistente al tempo risiede, come nei migliori esiti della musica di Dvorák, nel riuscito connubio tra un felice talento lirico e un solido mestiere. Come gran parte dei suoi colleghi di fine Ottocento, Dvorák prende le mosse dal teatro di Wagner, attenuandone però i contenuti con un più mite concetto dell’arte drammaturgica, più incline a guardare con benevolenza gli intricati percorsi delle vicende umane piuttosto che a rispecchiare, in figure di epici personaggi, la lotta per il dominio dell’assoluto. Forzando un po’ i toni, si potrebbe definireRusalkacome una sorta di ‘Tristan und Isoldeper adolescenti’. Un’eco delTristan-Akkordrisuona brevemente in orchestra laddove l’espressione del sentimento amoroso urge con più veemenza, ma nel canto di Rusalka non v’è traccia di pulsioni di morte o di trasgressioni irrimediabili. La ninfa ragazzina si esprime attraverso le forme semplici della ballata. L’inconsistente principino se ne innamora e disamora con incosciente fatuità, e anche il padre, lo Spirito dell’acqua, visibilmente preda di un complesso edipico, non sa far altro che minacciare senza costrutto, quando non è impegnato a compatire (con il suo ossessivo richiamo «Beda!») una figliola che si è data a un amore sbagliato. L’unica a manifestare una psicologia ‘adulta’, risultando perciò antipatica, è la duchessa, che allo svenimento del principe ha infine un moto di stizza per la sua irrimediabile e infantile fissazione col mondo degli spiriti. Le altre figure, che fanno da contorno alle quattro principali, provengono con buona scelta dal repertorio consueto dei tipi d’opera, in particolare il collaudato ruolo di contralto per la vecchia strega. La struttura drammaturgica è abbastanza equilibrata, anche se lo stesso Dvorák aveva qualche perplessità al riguardo, quando Gustav Mahler richiese l’opera per rappresentarla a Vienna. Lo spostamento all’ultimo atto del grande duetto d’amore, anziché al secondo come vuole la consuetudine, è opportunamente compensato dalla scena nel giardino, dove il duetto d’amore è invece tra il principe e la duchessa. In modo più problematico si inserisce la scenetta comica tra i due popolani e la strega prima dell’epilogo, che si lega un po’ a fatica con il clima soprannaturale della vita del bosco. Una delle migliori doti diRusalkasta proprio nell’elegante leggerezza con cui Dvorák guarnisce di fregilibertyla sua idea di natura, immersa in un brulichio di creature magiche, lontane dal mondo degli uomini, chiusi dentro le loro città e i loro castelli. Dvorák arricchisce questo bosco shakespeariano con il tocco melodico della musica popolare boema, con i suoi ritmi di danza e le sue canzoni, di modo che non solo le fate scherzano con lo Spirito come farebbero delle contadinelle, ma persino il coro fuori scena delle ninfe d’acqua (“Odesla jsi do sveta”) sembra uscito da qualche remoto canto slavo, di quelli intonati dalle donne vestite da nero, che alla sera siedono in cerchio davanti al focolare.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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